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COSENZA – Ci sono voluti cinque anni per avere un parere dall’Asp e chissà quanti ancora dal Dipartimento Salute della Regione Calabria per essere autorizzata all’esercizio della Pet/Tc, un macchinario utilizzato per diagnosticare i tumori. Vittima della burocrazia è il Biocontrol di Cosenza, struttura privata che ha investito oltre un milione di euro per acquistare un macchinario per metterlo al servizio degli ammalati oncologici, anche perché a disporne di uno simile da anni è alla Fondazione Campanella dove si registrano liste di attesa di 4 mesi.
Nel frattempo ogni anno la Regione Calabria paga oltre 3,5 milioni di euro alle regioni limitrofe per rimborsare le prestazioni dei quei calabresi costretti ad emigrare per un semplice esame e si stima che una cifra analoga venga spesa da chi, per superare le liste di attesa, si può permettere di pagare dai 400 euro a 1.000 euro per un esame (non rimborsato) tra Campania, Lazio e Lombardia.
Questa storia è l’emblema di come vanno le cose in Calabria, dell’ottusità della classe politica e della burocrazia che governa la sanità calabrese che costringe ogni anno migliaia di persone in inutili viaggi della speranza e nello stesso tempo finanzia il sistema sanitario di altre regioni per un cifra di 240 milioni di euro, circa l’8% del totale della spesa sanitaria regionale.
Oggi chi si ammala di tumore in Calabria oltre al dramma della malattia deve patire anche la mancanza di servizi di diagnostica e cura. La Pet (Positron emission tomography) Tac, è quanto di più avanzato ed innovativo esista nel campo della diagnostica per immagini del cancro. Un’apparecchiatura in grado di individuare stadiazione del cancro, metastasi e tumori primitivi, con una definizione fino a quattro millimetri, che ha cambiato il modo stesso di concepire i protocolli diagnostico-terapeutici di numerosi tipi di cancro.
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