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CALTANISSETTA – Dal processo sulle stragi in cui vennero uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino arrivano le dichiarazioni di Consolato Villani, pentito di ‘ndrangheta ascoltato dai giudici in riferimento a presunti coinvolgimenti della criminalità organizzata calabrese nell’organizzazione dei due attentati ai giudici-simbolo della lotta alla mafia.
Villani sostiene che «nell’organizzazione delle stragi di Capaci e via d’Amelio parteciparono anche i servizi segreti deviati. Cosa nostra sicuramente ricoprì un suo ruolo ma è stata usata solo come manovalanza. L’obiettivo era lanciare un avvertimento allo Stato perchè al suo interno c’era una contrapposizione. In Sicilia – asserisce il pentito – erano stati coinvolti un uomo, particolarmente brutto, e una donna, appartenenti per l’appunto ai servizi segreti».
Il collaboratore di giustizia, deponendo nell’aula bunker del carcere di Rebibbia dove è in corso il secondo processo per la strage di Capaci, ha detto che a confidarglielo sarebbe stato Antonino Lo Giudice, presunto boss dell’omonima cosca reggina il quale gli avrebbe riferito che «sia l’uomo che la donna erano molto addestrati e preparati ed erano considerati vicini ai Laudani di Catania. In Sicilia avevano ucciso un poliziotto e un bambino. Io ho poi incontrato un uomo che mi ha colpito per la sua faccia e presumo che si tratti della stessa persona alla quale si riferiva Lo Giudice».
Villani, infine, ha detto che «Falcone e Borsellino sarebbero stati uccisi perchè all’interno dello Stato c’erano delle contrapposizioni. In particolare c’era una corrente politica collegata a Cosa nostra e c’era il rischio che questo si scoprisse». La tesi di Villani, però, contrasta con la versione che nel corso della stessa udienza ha dato Giovanni Brusca, già condannato quale esecutore della strage, il quale ha invece voluto rimarcare che l’attentato a Falcone è stato frutto di una strategia totalmente interna a Cosa Nostra e che anche nella fase prettamente esecutiva «dalla gestione dell’esplosivo al travaso del tritolo nei 13 bidoncini, nessun soggetto esterno – ha riferito Brusca – è mai intervenuto».
Il secondo processo sulla strage in cui il 23 maggio 1992 morirono Falcone, sua moglie e tre uomini della scorta punta a far luce sul ruolo di una nuova rosa di imputati rispetto a quelli già condannati con il primo procedimento, in particolare per quanto riguarda il reperimento dell’esplosivo e i compiti svolti nell’esecuzione dell’attentato.
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