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TORINO – Nuovi sviluppi nella vicenda dell’omicidio del consigliere comunale di Torino Alberto Musy deceduto (LEGGI LA NOTIZIA) in seguito ad un agguato di cui è stato accusato il calabrese Francesco Furchì (LEGGI LA NOTIZIA). Nel corso del processo che si sta celebrando a Torino (LEGGI LA NOTIZIA), infatti, è spuntata l’ipotesi di un omicidio su commissione.

La pista investigativa è stata avanzata dall’accusa che ha prodotto un’intercettazione telefonica tra Felice Filippis, amico dell’imputato, e la moglie di questi, Caterina Furchì. Nelle carte del pubblico ministero Roberto Furlan si parla di una somma di 30mila euro che sarebbe stata versata sul conto della donna e su cui la Corte d’assise ha disposto accertamenti. 

Nello specifico, nella conversazione di Filippis con la sorella di Furchì risalente allo scorso mese di ottobre, i due parlano di una pistola e anche di una seconda arma. La donna al telefono, ha detto che «una pistola è stata riportata in Calabria», e che «l’assassino se ne è liberato subito». Secondo l’accusa, è possibile che qualcuno dalla Calabria abbia chiesto l’omicidio di Musy e che lo abbia pagato 30mila euro.

Immediata la replica della stessa consorte di Francesco Furchì il quale all’Ansa ha dichiarato di essere «disgustata, Ora si inventano anche questo perché non hanno neanche una prova. I 30mila euro sul mio conto ci sono ma non riguardano certamente questa vicenda. Non ho nulla da nascondere».

I difensori di Francesco Furchì, Maria Battaglini e Mariarosaria Ferrara, inoltre, hanno protestato ufficialmente davanti alla Corte d’assise per quella che ritengono «una violazione inammissibile del diritto di difesa» in quanto il fascicolo aperto dalla procura contro ignoti su un eventuale complice di Furchì nell’attentato a Musy starebbe consentendo di indagare sul loro cliente a processo aperto e per questa ragione hanno espresso il loro disappunto. «E’ chiaro – hanno asserito i legali – che si sta cercando di rafforzare l’ipotesi accusatoria e che, anziché su altre persone, si indaga su Furchì. Ci sono atti e attività di cui veniamo solo parzialmente a conoscenza. E questa è una violazione al diritto di difesa».

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