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SIDERNO – Dalla Locride alla Sardegna l’autostrada è il carcere. Ma soprattutto dalla dimensione più vicina agli ambienti della criminalità spicciola calabrese alla rinascita con prospettive di lavoro e un futuro tutto da percorrere.
E’ la storia di Giuseppe Commisso, classe 1979, di Siderno, la sua esperienza racconta la vittoria del riscatto sociale, ma soprattutto evidenzia, senza equivoci, come il carcere può riabilitare, come una pena pensata per rieducare può ricucire lo strappo psicologico tra una persona che si perde nella tentazione del vuoto e la sua voglia di rinascita.
Quella di Giuseppe Commisso di Siderno è la storia dell’Italia civile. Tutto inizia nel 2008, alle tre e trenta della mattina del 21 luglio Giuseppe Commisso viene raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare, è tra gli arrestati dell’operazione antidroga denominata “Pusher”. Un anno dopo un’altra inchiesta antidroga, “Dolly Show”, lo vede inserito tra i destinatari di una ordinanza di custodia cautelare. Le porte del carcere per Giuseppe Commisso si aprono all’età di 29 anni.
E lì, dietro quelle sbarre che annullano il tempo e l’esistenza, che il non ancora trentenne di Siderno capisce di avere sbagliato strada. Seguito passo dopo passo in tutto il suo percorso dall’avvocato Francesco Commisso decide di iscriversi all’università, facoltà di agraria, una scelta maturata dopo aver ripercorso a ritroso il film della sua vita, una scelta sincera, definitiva. Ma in Calabria è dura, è la regola, le carceri sono sovraffollate, gli spazi per lo studio inesistenti, i tempi di collegamento tra l’università e la casa circondariale in cui è detenuto rendono impossibile e dispersivo il nuovo percorso scelto da Giuseppe Commisso, la burocrazia si frappone tra lo studio e le sbarre della cella, il sogno sembra bloccarsi.
Nel frattempo i processi corrono spediti ed arrivano le condanne. Il Tribunale sentenzia per Giuseppe Commisso 6 anni di pena. Ma per lui la laurea e una nuova vita è l’unica cosa che conta. Tra le “frequenze di radio carcere” intanto qualcuno indica a Commisso l’isola felice del carcere di Alghero. Così l’ormai trentaduenne sidernese si decide, chiede il trasferimento per motivi di studio e lo ottiene.
Dalla Locride è sbarcato in Sardegna. L’università di Sassari gli spalanca le porte, l’istituto penitenziario gli passa tutti gli assist necessari per metterlo in condizione ottimale per studiare al meglio. Un gruppo di titolari di cattedra in pensione entra nella casa circondariale per svolgere volontariato, fanno lezione ai detenuti iscritti all’università, tra loro anche il sidernese. Giuseppe Commisso studia, vede e vive il carcere in modo diverso, è il suo college forzato. Voghera concede al sidernese, visti anche i risultati, la frequenza dei laboratori, esce dalla cella alle 8.30 del mattino, si reca all’ateneo e rientra alle 17. I professori lo incitano, lo stimolano, il ragazzo è sveglio. Il 21 ottobre del 2014 Giuseppe Commisso si laurea in agraria, è dottore con 105 su 110.
Alcune aziende in Sardegna lo hanno già contattato per offrirgli un posto di lavoro a pena espiata. Tra pochi mesi Commisso potrebbe sbattere le sbarre della sua cella dietro le spalle per non rivederle mai più. Oggi è un uomo, rinato, pronto a camminare a testa alta. Forse, se non per trovare parenti e amici, la vita scorrerà lontano da Siderno, in Sardegna, forse no.
Ma oggi sa cosa fare. Lo Stato ha vinto, ha preso un giovane che ha sbagliato e lo ha trasportato verso la riabilitazione completa. Questo però, purtroppo, non è accaduto in Calabria.

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