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CATANZARO – Calabria in fondo alla classifica. La qualità delle cure nella regione resta azzoppata, segnata da freddi indicatori ministeriale che, però, fotografano ancora una volta un dato inquietante. E’ questo quello che emerge dall’elaborazione dei numeri del Programma nazionale esiti 2014 di Agenas (Agenzia per i servizi sanitari regionali) e Ministero della Salute. A fare da contraltare alla Calabria ci sono Toscana, Valle d’Aosta e provincia autonoma di Trento che, invece, hanno ottenuto la più bassa percentuale di indicatori negativi e tra quelle con la più alta percentuale di indicatori migliori rispetto alla media nazionale.
Osservando, invece, la coda della classifica troviamo la Campania con una percentuale di indicatori sotto la media nazionale del 24% e una percentuale di indici positivi del 16%. Negative anche le performance della Calabria, che ha totalizzato una percentuale di indicatori sotto la media nazionale del 23% come pure la Puglia. Da notare in ogni caso come le percentuali maggiori d’indicatori sotto la media nazionale si siano registrati nelle Regioni in Piano di rientro, proprio come la Calabria.
DIMINUISCONO I PARTI CESAREI – Nel rapporto, però, risulta un dato positivo rispetto agli obiettivi di riduzione del numero dei parti cesarei in Italia. Mentre nel 2008 tutte le regioni del Sud avevano valori di media superiori ai valori nazionali, nel 2013 Basilicata, Calabria e Sicilia si avvicinano al valore medio nazionale, seppur con grande eterogeneità interna. Rimangono ancora molto evidenti le differenze tra le regioni del Nord con valori intorno al 20% e le regioni del Sud con valori prossimi al 40% che, nel caso della Campania, arrivano al 50%.
La proporzione di parti cesarei primari è passata complessivamente dal 29% del 2008 al 26% del 2013, con grandi differenze tra regioni: in Campania, ad esempio, un parto su 2 è cesareo. L’Organizzazione mondiale della sanità sin dal 1985 afferma che una proporzione di cesarei superiori al 15% non è giustificata. Il parto cesareo rispetto a quello naturale comporta infatti maggiori rischi per la donna e il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in presenza di indicazioni specifiche. Il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1.000 parti e 15% per le maternità con meno di 1.000 parti.
Ebbene, analizzando le tabelle dell’Agenas, a fronte di un valore medio nazionale del 26% si osserva una notevole variabilità intra e interregionale con valori per struttura ospedaliera che variano da un minimo del 4% ad un massimo del 93%. La Liguria e la Valle d’Aosta sono le uniche regioni del Nord ad avere invece valori superiori a quelli nazionali.
UN SOLO PUNTO NASCITA – Dato sufficientemente incoraggiante per la Calabria anche quello riferito alla presenza di punti nascita che dovevano essere chiusi per ragioni di sicurezza, ma che nel 2013 erano ancora 133. Di questi, però, solo uno è indicato in Calabria, con il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera che parla chiaro e che rimanda all’accordo Stato Regioni che, già nel 2010, prevedeva la chiusura delle maternità con meno di 500 parti.
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