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CROTONE – Ha dovuto chiudere il cantiere, per non subire più attentati. E nell’ultimo anno è stato costretto a licenziare 40 persone e oggi non ha più dipendenti. Ma a lui nessuno ha manifestato solidarietà. Forse perché si chiama Emilio Iuticone, è stato testimone di giustizia e ha subito danneggiamenti anche quando era sotto tutela. A differenza di quello che è successo a Michele Lucente, presidente di Confindustria Crotone, che per la bottiglia incendiaria piazzata davanti al cantiere della sua famiglia è stato inondato da un fiume di solidarietà.
«Conosco Michele, l’ho visto crescere e sono solidale anche io con lui e la sua famiglia. Ma a me nessuno ha mai scritto una riga», dice al Quotidiano Iuticone, che se la prende con istituzioni e associazioni di categoria che, invece, hanno espresso vicinanza al capo degli industriali crotonesi. «Non vendo più calcestruzzo e non svolgo più attività d’impresa. Non ho più la scorta e la Prefettura mi nega il porto d’armi che chiedevo per difendermi. Eppure ho collaborato con la giustizia e mi sono fatto mettere i microfoni addosso per far arrestare esponenti della criminalità organizzata sotto casa mia». E ancora: «ho dato la mia vita allo Stato e dopo anni di denunce questo è il risultato. Nessuno di questi signori che oggi esprime solidarietà a Lucente mi ha mai chiesto come mi sento».
Oggi Iuticone si sente sempre più isolato, dopo «45 anni di impresa a Crotone». Una città in cui «nell’ultimo mese – osserva – ci sono stati due morti ammazzati, sicuramente in un contesto di mafia, e in cui chiunque fa economia deve pagare ai clan». Già. Perché «se produci, ti vengono a cercare per chiederti i soldi. E se non paghi, ti fanno saltare i mezzi. E se li arrestano o li uccidono, dopo di loro ne crescono altri». Ma Crotone è anche la città in cui, secondo i dati in possesso degli inquirenti, in un anno le denunce delle vittime di estorsione o usura si contano in numero inferiore alle dita di una mano.
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