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CATANZARO – Un’inchiesta avviata nel 2009, durata tre anni e nella quale sono state coinvolte un centinaio di persone tra le quali politici di primo piano a livello nazionale, a cominciare dall’allora presidente del Consiglio Romano Prodi e dal guardasigilli Clemente Mastella, oltre a presidenti e assessori delle Giunte regionali calabresi di centrosinistra e centrodestra. Un fascicolo per il quale si arrivò ad una crisi di governo.
E’ questa, in sintesi, l’inchiesta Why not, avviata da Luigi de Magistris, allora pm a Catanzaro ed oggi, dopo avere lasciato la magistratura, sindaco di Napoli, che ipotizzava una serie di illeciti nella gestione di di fondi statali, regionali e comunitari con la complicità e la partecipazione dei politici. Dell’ipotesi accusatoria, però, alla fine, dopo anni di processi, da un punto di vista giudiziario è rimasto ben poco. Tra proscioglimenti, archiviazioni, assoluzioni e prescrizioni, la quasi totalità degli indagati alla fine ne è uscita indenne.
In piedi è rimasta soltanto un’ipotesi di associazione per delinquere a carico di sei imputati per la quale il processo è ancora in corso davanti ai giudici del Tribunale di Catanzaro. Se le conseguenze giudiziarie sono state limitate, ben altre sono state quelle sul piano politico. L’inchiesta Why not, infatti, ha avuto un peso determinante per la caduta del Governo di Romano Prodi, dimessosi il 24 gennaio 2008, dopo che Clemente Mastella – anche lui indagato e la cui posizione fu poi archiviata – proprio per quell’indagine fece venire meno il suo sostegno al Governo del professore.
L’indagine fu poi avocata dalla Procura generale di Catanzaro, con conseguenze che in quel momento erano difficilmente immaginabili. Il magistrato, sottoposto a procedimento disciplinare per l’acquisizione abusiva di tabulati telefonici di parlamentari, si dimise entrando in politica, diventando subito eurodeputato di Idv e poi riuscendo a farsi eleggere sindaco di Napoli. Ma Why not è stata anche al centro di uno scontro senza precedenti tra apparati giudiziari: la Procura della Repubblica di Salerno e la Procura generale di Catanzaro si sequestrarono a vicenda i fascicoli, costringendo il Csm a sostituire tutta la catena gerarchica.
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