REGGIO CALABRIA – «Non so perché lo faccia, ne’ quali interessi reali tenti di coprire. Ma una cosa è certa Claudio Scajola mente. Quando dice che fui io a proporgli il trasferimento di Amadeo Matacena da Dubai a Beirut per fargli ottenere l’asilo politico, dice clamorosamente il falso, e sono in grado di dimostrarlo». Parla Vincenzo Speziali, è un fiume in piena. Si difende l’uomo che viene indicato come il perno attorno a cui ruotava l’operazione di “salvataggio” del latitante Matacena, e per la quale sono finiti in carcere, oltre l’ex ministro dell’Interno e altre 4 persone, anche Chiara Rizzo e Raffaella De Carolisi, rispettivamente moglie e madre di Matacena. Si difende da accuse che definisce «assurde» e passa all’attacco accusando Scajola di mentire sul suo conto. Dalla casa di Beirut dove vive con la moglie (parente con l’ex presidente Amin Gemayel) e con i figli racconta la sua verità. Una verità che «dimostrerà al processo che va fatto prima possibile», perché «qualcuno dovrà rispondere delle gravi accuse mosse nei confronti di una persona perbene».
Speziali perché dice che Scajola sta mentendo?
«Perché non è vero che fui io a proporre lo spostamento di Matacena da Dubai a Beirut. Io Matacena neppure lo conosco, non ci ho mai parlato né l’ho mai incontrato in vita mia. So chi è perché sono calabrese anche io ed ho fatto politica, ma con lui non ho mai avuto rapporti di alcun genere. Anzi, una volta nei primi anni ‘90, da esponente della Dc, scrissi una lettera contro suo padre che era vice sindaco di Reggio Calabria ed aveva attaccato i magistrati reggini. Dunque nessun altro rapporto e tantomeno contatti di natura politica o di alcun altro genere».
Secondo lei perché Scajola dovrebbe mentire tirandola in ballo?
«Non lo so, la prima cosa che mi viene in mente è che non dica la verità per coprere forse altre persone o altri fatti. Io la ragione non la conosco, ma una cosa è certa, io con lui non ho mai parlato di Matacena».
E di cosa parlavate, visto tra di voi c’era un rapporto consolidato e documentato. Che affare era quello di cui si discuteva nelle telefonate intercettate?
«Guardi le dico quello che posso, perché preferisco dare i dettagli ai magistrati quando decideranno di interrogarmi. Io sono un imprenditore che gestisce un società di servizi che fornisce consulenza finanziaria e per la logistica a grandi imprese. Scajola mi chiese di aiutare alcuni suoi amici in difficoltà economiche. Cosa che ho tentato di fare mettendo a disposizione la mia professionalità in maniera assolutamente legale e legittima».
Che amici?
«Lo dirò a tempo debito ai magistrati ai quali chiedo di essere interrogato ormai da mesi senza ricevere alcuna risposta. In ogni caso si tratta di alcuni imprenditori che cercavano di entrare in rapporti finanziari con alcune banche libanesi, ed io, essendo stato in diversi consigli d’amministrazione di istituti di credito a Beirut, ho cercato di aiutarli, non era neppure un fatto professionale, ma più di amicizia che altro».
E’ la sua parola contro quella di Scajola.
«No, è la parola di Scajola contro una corposa documentazione che consegnerò ai magistrati italiani appena sarò chiamato. Ci sono documenti ed email ufficiali che conservo e che sono andati a diversi interlocutori. All’eventuale processo nel quale intendo difendermi con le unghie e con i denti ci saranno documenti ufficiali e testimoni, ne vedremo delle belle. Tra l’altro, se hanno perquisito i computer di Scajola e della sua segretaria, dovrebbero averle già trovare e comunque sono in mio possesso e sarò felice di metterle a disposizione della magistratura».
Oltre che per quanto riguarda Matacena, il suo nome è saltato fuori anche per la vicenda libanese di Dell’Utri, è un caso che ci sia sempre di mezzo lei?
«Anche il mio coinvolgimento in quella storia è un falso. Lo dimostra il fatto che non sono mai stato indagato né dalla Procura di Palermo né da quella di Roma, che non mi hanno mai contestato nulla di nulla. Dunque solo chiacchiere da bar di cui a tempo debito dovranno rispondere in tanti».
Non mi dica che non conosce neppure Dell’Utri
«Ma si figuri, anzi sono un suo estimatore. Conosco Marcello Dell’Utri dal 2003 quando l’ho incontrato in aeroporto durante una vacanza. Mio zio, ex senatore del Pdl, stava fondando i circoli del “Buongoverno” in Calabria ed io mi presentai per salutarlo. Gli dissi che sono il nipote di Speziali e facemmo due chiacchiere. Da quel momento ci siamo sentiti qualche volta al telefono e in alcune altre occasioni ci siamo anche incontrati. Parlavamo spesso di libri e di politica, lo considero una mente eccelsa ed è piacevole conversare con lui, tutto qui. E’ un fine politico, al contrario di Scajola che francamente non mi è mai sembrato un colosso».
Insomma dell’arrivo a Beirut di Dell’Utri lei non sa nulla.
«Le dirò di più, non sapevo neppure che si trovasse in Libano. Lo avevo incontrato casualmente in un ristorante a Roma il 18 aprile 2013, me lo ricordo perché era il giorno in cui venne silurato Marini candidato alla Presidenza della Repubblica, poi ci siamo rivisti credo a maggio, sempre casualmente, una volta ci incontrammo in un ristorante e l’altra, se non ricordo male, in un bar del centro. Di seguito forse c’è stata tra noi una telefonata o due, così solo per salutarci. A gennaio, prima della sentenza definitiva della Cassazione, gli mandai un messaggio per dirgli che avrei avuto piacere di sentirlo. Non mi ha mai risposto, credo che in quel periodo fosse in ospedale per i suoi problemi di salute. Francamente non so neppure se lo ha mai letto quel sms, ma se la magistratura facesse una controllo sui miei tabulati potrebbe trovare tutto. Anche quando Dell’Utri è arrivato a Beirut non mi ha mai cercato, ne io sapevo fosse qui. Ripeto Basta guardare i tabulati e dalle intercettazioni si capirebbe che non ho avuto alcun ruola nella vicenda. Se poi si guardano le intercettazioni tra me e Scajola emergerebbe che non si fa mai riferimento a Dell’Utri. Insomma se me ne fossi interessato avrebbe dovuto esserci una traccia».
Restiamo a Scajola, l’ex ministro dice che lei aveva mire politiche, che voleva candidarsi e che chiese di essere sponsorizzato, è vero?
«E’ vero che amo la politica, l’ho sempre fatta, è una mia passione. Sono stato consigliere comunale a Catanzaro, mio zio era senatore, io stesso sono stato ai vertici della Dc giovanile e anche in Libano ho continuato a fare politica da democristiano e cattolico. E’ tutto vero come dimostra la mia storia personale. Però non è vero che chiesi aiuto a lui per una candidatura al Senato o alla Camera. D’altra parte Scajola era uno che non era riuscito a pensare a se stesso come avrebbe potuto aiutare me? Non era stato candidato alle politiche come si ricorderà. Per quanto mi riguarda poi ero e sono in contatto con tutta l’area democristiana di Pdl prima e Fi poi, Clemente Mastella è stato mio testimone di nozze e Pino Galati è un caro amico. Insomma volendo avrei potuto trovare sponsor più forti e autorevoli, almeno all’epoca dei fatti. Invece fu lui a chiedermi aiuto per la campagna elettorale delle Europee, anche se io immaginavo e glielo dissi, che non lo avrebbero candidato. Guardi questa cosa la può testimoniare anche Marilina Intrieri con la quale lo incontrammo per discutere di elezioni. Avevamo in mente di organizzare per lui una iniziativa pubblica con un vescovo, ma le dirò di più, a prescindere dalla sua candidatura o meno io facevo votare comunque Forza Italia, perchè sono un uomo di centrodestra convinto. Mi considero un militante della prima ora e un sostenitore da sempre dei valori della libertà e del cattolicesimo.. e comunque …».
Comunque cosa?
«Comunque, tutta questa storia è strana, strana davvero….».
In che senso?
«Prenda il caso del Capocentro dei servizi segreti italiani negli Emirati Arabi, che ovviamente non conosco. Dice di aver saputo da un carabiniere che lavora in ambasciata che io ero di casa a Dubai e che andavo spesso all’ambasciata Italiana per sbrigare presunte pratiche. Invece io a Dubai non ci sono mai stato come si può vedere dal mio passaporto e poi basta fare una verifica all’ambasciata stessa dove c’è un registro dell’immigrazione per scoprirlo ufficialmente. Eppure vengo citato da un ufficiale dei servizi che riferisce le confidenze ricevute ai magistrati, addirittura come persona informata sui fatti. Non so a lei, ma a me pare inquietante».
Dice?
«Guardi mi hanno dipinto come una sorta di capo della Spectre. Mi hanno detto che sono un faccendiere. Il procuratore Federico Cafiero de Raho mi ha descritto alla stregua di un criminale offendendo la mia dignità personale, politica e di imprenditore. Ovviamente tutti quelli che si sono lanciati in giudizi affrettati e ingiusti nei miei confronti saranno chiamati a risponderne nelle sedi opportune. E’ chiaro che alla fine di questa storia ognuno dovrà assumersi la responsabilità di quanto detto e fatto. Non consento a nessuno di mettere in discussione la mia onorabilità».
Lei dice di essere accusato ingiustamente e di essere stato messo in mezzo a storie di cui non sa nulla. Ma come se lo spiega? Perchè questo presunto accanimento?
«Ho la sensazione che qui mi si voglia distruggere politicamente e professionalmente così come è stato fatto con Berlusconi e con Forza Italia, che per me resta un partito che è baluardo di libertà».
Un complotto insomma.
«Non so come altro definirlo. D’altra parte non sarebbe la prima volta che avviene».
Ma lei è in grado di chiarire tutto, giusto?
«Certo che si, e mi creda che lo faccio per la mia famiglia che ha il diritto all’onore che gli è stato tolto ingiustamente e per le istituzioni. Quando avrò chiarito ogni aspetto farò un favore anche ai magistrati che comunque mi hanno trattato malissimo e si sono dimostrati superficiali. Uscito di scena, io credo che gli inquirenti potranno concentrarsi sugli aspetti seri dell’inchiesta, ammesso che ve ne siano, e comunque smetteranno di perdere tempo con me».
E lei dopo che farà?
«Dopo? Mi dedicherò alla mia famiglia più serenamente e se ci sono le condizioni, tornerò alla mia grande passione che è fare politica. Credo di averne diritto».