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REGGIO CALABRIA – Operazione congiunta dei Carabinieri di Reggio Calabria e Roma che ha portato all’emissione di 19 ordinanze di custodia cautelare, di cui 8 notificate in carcere, a carico di altrettanti appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta ‘Caridi-Borghetto-Zindato’, operante nella zona sud della città di Reggio e in particolare nei quartieri di Ciccarello, Rione Modena e San Giorgio Extra di Reggio Calabria. L’indagine nasce dall’omicidio con occultamento di cadavere di Marco Puntorieri (GUARDA IL VIDEO SHOCK DELL’OMICIDIO), nel settembre 2011. L’uomo, prossimo al gruppo “Caridi-Borghetto-Zindato”, era stato condotto in un luogo isolato di campagna e ucciso, secondo l’impianto accusatorio, da Domenico Ventura con l’ausilio di Natale Cuzzola e Domenico Condemi, tutti presunti organici alla stessa cosca, e già condannati in primo grado all’ergastolo per l’omicidio Puntorieri (LEGGI LA NOTIZIA DELLA SENTENZA).

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda). Agli arrestati vengono contestati i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso; traffico di droga e concorso in detenzione e porto in luogo pubblico di armi da fuoco, reati aggravati dall’avere favorito un sodalizio di tipo mafioso. Le misure cautelari sono state emesse dopo due anni di indagine svolta dai carabinieri della Compagnia di Reggio Calabria coordinata dalla direzione distrettuale antimafia che hanno portato all’operazione denominata “Cripto”. 

Secondo gli inquirenti la cosca Borghetto-Zindato-Caridi applicava un sistema di mutua assistenza attraverso la distribuzione dei proventi criminali ai familiari dei detenuti per sostenere spese legali e di sopravvivenza. Inoltre, è stato accertato il ruolo centrale assunto da una donna madre di due soggetti di vertice dell’organizzazione allo stato detenuti, la quale fungeva da punto di riferimento per gli affari della cosca. 

Il procuratore Federico Cafiero de Raho ha evidenziato che si tratta di una «rete» capillare ed efficiente per aiutare le famiglie degli affiliati di ‘ndrangheta detenuti. 

«Dall’indagine – ha detto, incontrando i giornalisti – emerge, in particolare, il vincolo di solidarietà che lega gli appartenenti alle cosche e che si concretizza in una vero proprio “dovere di assistenza familiare”. Scopo della rete di solidarietà costituita dagli affiliati è la raccolta di denaro che viene distribuito alle famiglie degli affiliati detenuti. Una rete della quale fanno parte anche elementi della microcriminalità, costretti a versare una quota alla cosca che ha un ruolo dominante nel territorio in cui operano».

«Nulla sfugge, in sostanza, alla ‘ndrangheta – ha concluso il Procuratore di Reggio Calabria – che, oltre a controllare le attività criminali ed economiche del territorio, condiziona pesantemente anche la microcriminalità, che per operare deve versare parte dei proventi all’’organizzazione criminale “madre”».

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