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REGGIO CALABRIA – «Grazie ai giornali e alle tv nazionali sono venute a galla queste storie che non hanno nulla a che fare con la legalità e la religione. La processione di San Procopio dell’8 luglio è l’ulteriore dimostrazione delle pressioni delle cosche sul territorio. E’ stata aperta un’indagine per fare luce su tutto».
Il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, è chiaro e senza peli sulla lingua. Tre fascicoli d’indagine sono stati aperti dalla Direzione distrettuale antimafia. Riguardano la processione della Madonna delle Grazie a Oppido Mamertina (LEGGI), di San Biagio a Scido (il fascicolo è stato aperto a marzo scorso), e quella di San Procopio nel paese di San Procopio. Tutti i casi si sono verificati nell’ambito della diocesi di Oppido-Palmi. E il vescovo Francesco Milito con decisione e responsabilità è stato costretto a sospendere tutte le processioni. «Tre fascicoli sono stati aperti, uno per ogni cosca egemone del territorio» tiene a ribadire il procuratore della Repubblica.
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A San Procopio la sosta davanti all’abitazione del pregiudicato Nicola Alvaro (LEGGI), attualmente detenuto, e con l’offerta al santo da parte della moglie dell’uomo, Grazia Violi, rappresenta soltanto uno degli aspetti al vaglio degli investigatori e l’ultimo dei tre fascicoli aperti. Al momento non ci sono ancora persone iscritte nel registro degli indagati per quanto riguarda San Procopio. Sta di fatto che da alcuni giorni Procura, carabinieri e polizia hanno deciso di monitorare tutte le processioni della provincia. Lo Stato ha detto basta all’uso strumentale della religione per affermare consenso e potere da parte dei mafiosi. «I cittadini ormai non fanno più caso a quanto avviene nelle processioni – dice Cafiero de Raho – perché si è sempre fatto così ma si deve far capire che ora non si fa più così».
Insomma si cambia registro, finalmente. Inoltre secondo il procuratore i casi di Oppido, Scido e San Procopio mettono in luce «un’occupazione del territorio da parte delle cosche, al punto da occupare anche la libertà degli individui e violare i più elementari principi. Questi tre episodi sono esempi di un condizionamento mafioso elevatissimo». L’analisi del numero uno dell’antimafia reggina non lascia spazio a dubbi o a interpretazioni di comodo. «Vi sono pressioni ndranghetistiche – sostiene Cafiero de Raho – che inducono a comportamenti contro le regole, ad essere ossequiosi con la ‘ndrangheta».
Il procuratore confida molto nei giovani: «Devono essere loro i protagonisti della svolta ma devono essere educati seriamente e concretamente alla legalità. I proclami e le parole sono prive di significato se non si trasformano in cose concrete. Bisogna dire no e opporsi a tutte le forme di sopraffazioni e di pressioni della ‘ndrangheta, a partire anche dalle processioni. La Chiesa e le istituzioni tutte devono avere una posizione chiara e netta contro i fenomeni criminali».
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Ma il pensiero e il plauso del procuratore è diretto anche verso quelli organi di stampa liberi che hanno danno risalto e fatti uscire fuori dal guscio episodi di inaudita gravità. «Se tv e giornali nazionali sono intervenuti è perchè la Calabria è fortemente intrisa dalla volontà della ‘ndrangheta – conclude il procuratore Cafiero de Raho – chi continua a mantenere questa cappa sulla Calabria, chi “sostiene” questo cono d’ombra sull’informazione reggina e calabrese anche se non è affiliato si rende indirettamente complice della ‘ndrangheta».
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