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CATANZARO – Dalle criptovalute al metaverso: è la nuova frontiera delle mafie, e della ‘ndrangheta in particolare, e occorre attrezzarsi con interventi normativi a livello sovranazionale per affrontare le nuove sfide poste dalle mafie digitali. C’è anche questo nella relazione della Dia sul secondo semestre del 2022, che esplora un contesto che il prefetto Vittorio Rizzi, già vice capo della polizia e direttore della Direzione centrale della polizia anticrimine, ha chiaramente delineato quando ha affermato che «La ‘ndrangheta si è fatta holding criminale: non attacca più frontalmente lo Stato…. È una mafia silente e pervasiva che inquina le economie legali, intossicandole con la corruzione e il riciclaggio. Il tempo che viviamo, richiede la massima resilienza delle Forze di polizia, che si devono adattare rapidamente agli scenari criminali che mutano rapidamente per massimizzare i profitti, approfittando del progresso tecnologico, dalle criptovalute fino al metaverso».
Il prefetto Rizzi lo ha detto parlando alle Forze di polizia di 14 Paesi che, sotto l’egida di Interpol, si erano riunite a Roma per definire insieme la strategia di contrasto alla ‘ndrangheta.
Di un «cambiamento radicale del modello di business, che proietta le organizzazione criminali transnazionali in una dimensione imprenditoriale e finanziaria su scala globale, che privilegia il reinvestimento dei proventi di reato in molteplici attività economiche e nella finanza Hi Tech, avendo alle spalle un serbatoio senza fine di ricchezze derivanti dai traffici di droga» ha, invece, parlato Filippo Spiezia (oggi è procuratore a Firenze) nella sua relazione in qualità di membro nazionale e vicepresidente di Eurojust.
L’uso della tecnologia, insomma, ha assunto un ruolo determinante per l’attività illecita delle organizzazioni criminali, che utilizzano i sistemi di comunicazione crittografata per le comunicazioni interne, e le molteplici applicazioni di messaggistica istantanea e di social media per la comunicazione esterna, la pubblicità di merci illegali e la disinformazione tramite web a scopo lucrativo.
Il ricorso all’utilizzo delle tecnologie emergenti può oggi ricostruirsi in maniera molto affidabile dalla decriptazione di migliaia di conversazioni avvenute su piattaforme di comunicazione criptate (Encrochat, Ski ECC e Anom) che «ci hanno restituito un panorama sul livello di infiltrazione e presenza del crimine organizzato, nei Paesi europei ed in paesi terzi, senza precedenti (solo per la piattaforma SKY ECC Europol ospita nei suoi database oltre 500.000.000 chat decriptate)», è detto nel dossier.
Il Web è divenuto quindi «l’ambiente privilegiato per svolgere attività lucrative di natura Criminale ed il ristretto ricorso alla violenza nei territori oltre confine rappresenta la prova della marcata e camaleontica attitudine dei sodalizi ad insinuarsi in tutti quegli ambiti economici in grado di offrire i più ampi margini di profitto per il reinvestimento dei capitali senza generare allarme sociale e, quindi, senza attirare l’attenzione delle forze di polizia e della magistratura».
Ecco perché la “Rete Giudiziaria Europea per la Criminalità Informatica- EJCN” il 12 e 13 dicembre 2022, presso Eurojust, ha organizzato la 13esima plenaria che si è concentrata su come indagare e proteggere le vittime di frodi online, sull’accesso alle prove digitali crittografate, condividendo le migliori pratiche e formulando raccomandazioni. Gli approfondimenti sono stati sulle piattaforme di investimento online e le modalità di cooperazione con i Paesi terzi e i fornitori di asset virtuali, così come sulla giurisprudenza e l’ammissibilità delle prove digitali crittografate.
L’EJCN dal 2016, del resto, promuove contatti tra i professionisti specializzati nel contrastare le sfide poste dalla criminalità informatica e dalle indagini nel cyberspazio. Altri ambiti che sono divenuti mezzi di finanziamento molto redditizi per la malavita sono il settore del “cyber crime” con particolare riferimento al gioco d’azzardo e delle scommesse, la produzione e la commercializzazione dei beni contraffatti, opere d’arte e altri beni culturali, e di carburanti e prodotti energetici. In particolare, gli 007 richiamano le risultanze dell’operazione “Petrolmafie Spa”, conclusa nel mese di aprile 2021, che hanno fatto emergere gli interessi della ‘ndrangheta, della mafia siciliana e della camorra nella gestione del business del commercio di prodotti petroliferi, i cui proventi illeciti sarebbero stati reinvestiti anche su conti correnti esteri riconducibili a società di comodo rumene, bulgare, croate e ungheresi, per poi rientrare nella disponibilità dell’organizzazione criminale.
Riguardo il cosiddetto gaming e betting, imprenditori del settore del gioco e scommesse, riconducibili alle organizzazioni criminali, hanno costituito società “cartiere”, con sede legale nei paradisi fiscali, che consentono di sviluppare un mercato parallelo a quello legale, con cospicue opportunità di guadagno e di riciclaggio di significative somme di, come emerso dal le operazioni denominate “Galassia”, “Revolutionbet – Gaming on line” e “Scommessa,”, concluse contemporaneamente, nel 2018, dalle Dda di Reggio Calabria, Catania e Bari.
La ‘ndrangheta tra le mafie è quella che ha un respiro più globale, essendo peraltro leader mondiale del narcotraffico. «La vocazione economico – imprenditoriale transnazionale, pur sempre con un indissolubile legame con il territorio d’origine, è maggiormente evidente per la ‘ndrangheta, che si è ritagliata un ruolo di “leadership” mondiale nell’ambito del narcotraffico, divenendo una vera e propria “holding” criminale di rilevantissimo spessore internazionale, in virtù delle relazioni privilegiate instaurate con i produttori di sostanze stupefacenti in America Latina».
Ecco perché per la cooperazione internazionale nel contrasto alla ‘ndrangheta il progetto I-CAN «continua ad essere il più utile strumento per lo scambio informativo e di competenze nell’ambito delle attività volte alla localizzazione dei latitanti e all’aggressione dei patrimoni illecitamente acquisiti all’estero». Il capitolo sulla “Criminalità organizzata italiana all’estero e relazioni internazionali” descrive le modalità con le quali i sodalizi italiani operano al di fuori dei confini del nostro Paese, evidenziando come, «nel loro incessante processo di adattamento ai variegati contesti, abbiano implementato le loro capacità relazionali e privilegiato gli ambiti affaristico-imprenditoriali, in virtù della ingente disponibilità di capitali illecitamente accumulati da riciclare, utilizzando a tale scopo tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie anche riguardo alla riservatezza delle comunicazioni».
Ecco la ricetta della Dia, che propone interventi normativi sovranazionali per affrontare le nuove sfide delle mafie digitali. «Risulta necessario, quindi, innovare anche gli strumenti a disposizione delle agenzie di sicurezza e delle forze di polizia chiamate a fronteggiare le nuove sfide nel contrasto alla criminalità organizzata, accrescendone anche le capacità d’intercettazione delle comunicazioni criptate e, più in generale, dell’esplorazione del web (dark web, metaverso, ecc..), nonché di altri ambienti dell’universo digitale meno conosciuti. In tale ambito e nell’ormai maturata consapevolezza che le sfide future avverranno soprattutto nello scenario digitale appare irrinunciabile predisporre un intervento normativo sovranazionale che definisca compiutamente l’attività dei fornitori di servizi online (OSP – Online Service Providers), rendendo fruibili prioritariamente alle forze di polizia i servizi criptati offerti a tantissimi altri utenti».
E ancora: «Nella comune consapevolezza che le future sfide si combatteranno nel mondo digitale (dark web, metaverso, criptovalute, ecc.), risulta dunque indispensabile ormai un intervento normativo sovranazionale che definisca l’attività dei fornitori di servizi online (OSP – Online Service Providers), rendendo fruibili alle forze di polizia i servizi criptati offerti agli utenti e disciplinando in maniera unitaria e puntuale nell’ambito dell’UE “le prove digitali”. Ciò consentirebbe di intervenire anche in quei Paesi che sono progressivamente diventati territori di interesse delle organizzazioni “mafia style”, per le lacune normative delle relative legislazioni anticrimine, che si rivelano meno stringenti soprattutto sotto il profilo del riciclaggio».
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