Giancarlo Pittelli monitorato durante l’inchiesta “Rinascita”
5 minuti per la letturaCATANZARO – «La prima cosa: meno girate e meglio è. Non dovete andare da nessuna parte. Secondo: devono risultare dei pagamenti che vengono direttamente dalla famiglia». Sono le direttive che avrebbe impartito Giancarlo Pittelli, noto avvocato penalista catanzarese e ex parlamentare di Forza Italia, a Rocco Delfino, imprenditore di riferimento della cosca Piromalli di Gioia Tauro, tra le più potenti della ‘ndrangheta, della quale il legale sarebbe stato il “faccendiere”.
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Da un lato, Pittelli si sarebbe attivato in favore di Delfino in occasione della revisione del procedimento di prevenzione nei confronti della società in confisca Delfino Srl, pendente dinanzi al Tribunale di Catanzaro, con l’intento di influire sulle determinazioni del presidente del Collegio giudicante al fine di ottenere la revoca del sequestro.
Dall’altro lato, l’ex parlamentare, sempre secondo l’accusa, avrebbe sottoposto all’attenzione di Delfino, in quanto uomo di fiducia della famiglia mafiosa di Gioia Tauro, «una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto “Facciazza”, indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze della cosca».
In sostanza, per la Dda reggina, Pittelli avrebbe pianificato «un sistema» volto a eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive e proveniente da profitti criminali. E’ una figura chiave nell’inchiesta che ieri ha portato all’operazione Mala Pigna, con cui è stato sgominato il business illecito dei rifiuti dei Piromalli tra Calabria e Romagna, tant’è che gli viene contestata l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il provvedimento di custodia cautelare in carcere è stato eseguito nell’abitazione dove già si trovava agli arresti domiciliari per l’analoga imputazione di cui oggi risponde nel maxi processo Rinascita Scott, e i legami tra le due indagini sono evidenti poiché sarebbe stato il boss di Limbadi,
Luigi Mancuso, imputato principale nel processo contro le cosche del Vibonese, a incaricare il penalista di mettersi a disposizione dei Piromalli in considerazione della storica alleanza tra i due clan. In particolare, il legale si sarebbe messo a disposizione di Delfino ottenendo dal colonnello Giorgio Naselli, all’epoca in cui era comandante provinciale dei carabinieri di Teramo, notizie riservate su una “pratica” relativa alla Mc Metalli, pendente presso la Prefettura di quella città, su istigazione di Delfino; un episodio oggetto peraltro dell’inchiesta Rinascita.
Ma Pittelli sarebbe stato tramite tra i capi assoluti delle due cosche poiché tra le sue mani sarebbe capitata – «mi è arrivata di traverso» – una lettera dal carcere di Giuseppe Piromalli, il boss 76enne indagato per l’omicidio di Antonio Scopelliti, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ucciso il 9 agosto 1991 in un agguato a Campo Calabro, mentre rientrava a casa a bordo della sua autovettura.
«Allora Rocco, io devo tirare prima di tutto i vostri interessi, prima ci siete voi, poi vegono gli altri», spiega Pittelli a Delfino, nella stessa conversazione durante la quale lo avverte di un’«indagine seria che riguarda tutti». Forse l’avvocato già sapeva dell’indagine del sostituto procuratore di Reggio Calabria Giulia Pantano – titolare dell’inchiesta Mala Pigna insieme al pm Paola D’Ambrosio – alludendo a possibili dichiarazioni di un pentito che aveva chiesto al magistrato se poteva parlare di «questo».
Quattro pagine di lettera fattagli recapitare da «un mastino napoletano come me che il suo avvocato sa solo giurisprudenza e non sa fare le cause», sostiene Pittelli. Insomma, «un intermediatore» che cura gli interessi della famiglia mafiosa, si evince dal tenore della conversazione, almeno questo è quanto osservano gli inquirenti. Pittelli parla di fatture e bonifici che devono arrivare direttamente e di importo «normale» altrimenti «nessuno ci crede». E’ lo stesso brano in cui l’avvocato allude a un perito «che vuole essere pagato» e il bonifico deve arrivare «direttamente da loro». «Trenta», chiede Delfino. Il riferimento è a un consulente tecnico incaricato per la perizia balistica sull’arma che sarebbe stata utilizzata per il delitto Scopelliti.
Ma gli intrecci sono anche con l’inchiesta “Genesi”, quella che ha portato al processo in cui l’ex presidente della Corte d’Appello di Catanzaro Marco Petrini è stato condannato a 4 anni e mezzo per corruzione in atti giudiziari. E’ il «presidente» di cui si parla nelle intercettazioni perché dinanzi a lui pendeva il ricorso per la revisione della confisca della Delfino srl. «Ho parlato con il presidente – dice, secondo la ricostruzione dei carabinieri, Pittelli – non mi ha dato assicurazioni o meglio non me le può dare… stiamo cercando di fare di tutto». Delfino ricorda che Petrini già lo ha assolto dall’accusa di associazione mafiosa e secondo gli inquirenti altro non è che un «tentativo di raccomandare il fascicolo al presidente» al fine di ottenere la restituzione della società.
Infine, una chicca. Per un procedimento amministrativo davanti al Consiglio di Stato, il solito Rocco Delfino puntava a arrivare all’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, oggi presidente aggiunto del Consiglio di Stato, completamente estraneo all’indagine tanto che i pm sottolineano la sua «inconsapevolezza». Il nome di Frattini compare in un’intercettazione registrata dai carabinieri durante un pranzo tra Delfino e Pittelli. “Nell’occasione – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Vincenza Bellini su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e dei sostituti Giulia Pantano e Paola D’Ambrosio- Delfino chiedeva a Pittelli se ci fosse una qualche possibilità di influire sulle determinazioni del giudice Frattini, al fine di assicurarsi il buon esito di un ricorso. Pittelli – scrivono sempre i magistrati – dopo aver rivolto nei suoi confronti frasi dal contenuto offensivo, rispondeva negativamente in quanto il dottore Frattini, inconsapevole della vicenda di cui parlavano gli interlocutori, non si sarebbe prestato a favore del Delfino». «Com’è Frattini… chiedigli chi è Frattini».
Insomma, da una parte Pittelli, andando ben oltre «i doveri etici e professionali», avrebbe assunto un ruolo nelle dinamiche della cosca comportandosi da «corriere di informazioni» tra il boss in carcere e Delfino, ma il suo interessamento non si esaurisce nella vicenda delle spese da pagare al consulente per la perizia sul delitto Scopelliti, in quanto il legale si sarebbe proposto di mediare con i magistrati, dalla Corte d’Appello al Consiglio di Stato.
Non c’era solo il “mastino” a ottenere notizie riservate, che a Delfino avrebbe svelato anche un poliziotto indagato, Bruno Ginardo, sovrintendente in servizio a Catanzaro, che avrebbe fornito informazioni grazie ad accessi abusivi alla banca dati delle forze dell’ordine.
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