Il porto di Genova
6 minuti per la letturaCATANZARO – Il modello Gioia Tauro viene replicato dalla ‘ndrangheta a Genova e in altri porti italiani. Emerge dalla Relazione sulla sicurezza portuale e i presìdi di legalità contro l’infiltrazione della criminalità organizzata predisposta dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta dal calabrese Nicola Morra.
I maggiori sequestri di cocaina, registrati negli scorsi anni nei porti di Genova e Livorno, oltre che in quello di Gioia Tauro, indicano che le organizzazioni criminali, dopo aver ritenuto per anni lo scalo calabrese la porta preferita per l’ingresso della cocaina dal Sud America, hanno inteso diminuire il rischio mettendo a punto nuove rotte. Ma il ruolo del porto di Gioia Tauro resta primario nel narcotraffico gestito dalla ‘ndrangheta, che è leader mondiale del mercato della droga.
Il questore di Reggio Calabria, Bruno Megale, sentito in audizione il 6 dicembre 2021 nell’ambito del sopralluogo della Commissione in Calabria, ha sottolineato come la crescita della ’ndrangheta negli ultimi anni sia essenzialmente legata alla sua vocazione imprenditoriale, alla capacità di conseguire ingenti profitti in molteplici attività economiche tra le quali il narcotraffico è quella più redditizia. Negli ultimi anni sono state sequestrate 13 tonnellate di cocaina, che costituiscono, secondo le stime più accreditate, soltanto il 20 per cento della droga che attraversa il territorio nazionale. Le inchieste giudiziarie hanno dimostrato che da tempo cosche tra le più potenti della ‘ndrangheta – i Commisso di Siderno; i Morabito di Africo, i Giorgi di San Luca – hanno propri broker che operano in Sudamerica a stretto contatto con i principali cartelli messicani e colombiani. Un’inchiesta del novembre 2021, condotta dalla Dda di Reggio Calabria in collegamento con le Dda di Milano e Firenze, ha disposto il sequestro di una tonnellata di cocaina e l’emanazione di una cinquantina di misure cautelari, dimostrando la potenza della cosca Molè di Gioia Tauro, che si avvaleva di entrature anche a Livorno e nei principali porti italiani e rappresentava di fatto una sorta di hub nella gestione del narcotraffico.
Il questore Megale ha quindi riferito alcuni dati relativi al porto di Gioia Tauro, che è il più importante porto europeo dopo Rotterdam per movimentazione di container ed è interamente gestito dalla MSC, concessionario unico, con circa 1.200 dipendenti, ai quali si aggiungono i circa 3.000 lavoratori dell’indotto. Vi possono ormeggiare i più grossi portacontainer del mondo e queste peculiarità lo rendono potenzialmente suscettibile di ulteriore sviluppo. Il monito del questore è quello di vigilare attivamente per evitare che i finanziamenti del Pnrr siano intercettati dalle organizzazioni ’ndrnghetiste della Piana di Gioia Tauro, che già in passato, con i Piromalli, sono state in grado di imporre ditte subappaltatrici alle aziende che si erano aggiudicate gli appalti pubblici per l’estensione della Zona economica speciale e del centro intermodale del porto.
Il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, colonnello Maurizio Cintura, nel corso della sua audizione, ha posto l’accento sulle risultanze dell’operazione Petrolmafie, con cui sarebbe stata smantellata una potente e ramificata organizzazione ’ndranghetista dedita al traffico illecito di prodotti petroliferi che aveva adottato un ingegnoso meccanismo mediante il quale, avvalendosi di prestanome e professionisti in Bulgaria, Romania, Croazia, aveva generato 600 milioni di false fatture e aveva consentito il riciclaggio di circa 133 milioni di euro. Con riferimento al traffico internazionale di stupefacenti, il colonnello Cintura ha riportato dati sulle crescenti quantità di merce sequestrata, che nel 2020 aveva raggiunto le cinque tonnellate e nel 2021 ha superato le 15 tonnellate. Ciò grazie anche all’intensa cooperazione con le altre forze di polizia, sia in ambito europeo grazie a Europol, sia a livello internazionale.
Ma anche il porto di Genova è esposto alle dinamiche dei principali macrofenomeni criminali autoctoni e transnazionali. Del resto, la centralità dello scalo marittimo genovese nel panorama internazionale del narcotraffico di cocaina era stata confermata anche dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, in occasione del suo intervento al convegno sugli “Stati Generali della lotta alle mafie”, tenutosi nel novembre 2017 a Milano, da cui è emerso che la Liguria è sorvegliata speciale in quanto il porto di Genova è tra i più infiltrati dalla ‘ndrangheta, che può contare sulla complicità di addetti alle banchine. Come già avviene presso lo scalo di Gioia Tauro e alcuni porti del nord Europa, in particolare tedeschi e olandesi.
Le rotte utilizzate dai trafficanti variano a seconda dei Paesi produttori di droga, quindi per le importazioni dei carichi di cocaina i collegamenti via mare sono con i porti del centro e sud America, con un ruolo leaderistico della ‘ndrangheta, mentre per i carichi di hashish e marijuana viene sfruttato il corridoio marittimo dal Marocco via Spagna, ad opera principalmente di organizzazioni criminali multietniche meno strutturate rispetto alla mafia calabrese.
Le ‘ndrine, viene detto nella Relazione, hanno tentato di spostare il baricentro dei traffici dal porto di Gioia Tauro a quello di Genova, considerato valida alternativa, in quanto meno rischioso per i preziosi carichi di droga. Presso lo scalo portuale genovese la ‘ndrangheta ha in parte riproposto il rodatissimo modulo operativo già collaudato a Gioia Tauro, consistente nell’avvalersi di una vera e propria «struttura servente» composta da operatori portuali, spedizionieri e criminali comuni col compito di assistere i carichi di droga dall’arrivo in banchina nei terminal fino alla consegna ai committenti calabresi. Ciò grazie alla capacità della mafia calabrese di costituire una fitta rete di rapporti sia con i controllori ai varchi portuali che con le maestranze genovesi. Nel dossier si fa riferimento al gruppo degli Avignone, esponenti dell’omonima cosca di Taurianova, coinvolti nell’operazione “Zip 2013” dei carabinieri di Genova che hanno fatto luce sull’importazione attraverso il porto di Genova di un ingente carico di cocaina proveniente dal Perù.
Ma si richiamano anche le risultanze delle relazioni annuali sul narcotraffico del Servizio centrale antidroga. «È del tutto evidente che i numerosi sequestri eseguiti nei porti liguri, infatti, non rappresentano casi estemporanei e frutto di scelte occasionali, ma, viceversa, attuazione di una chiara strategia che coinvolge sempre più gli scali portuali liguri in luogo di quelli più comodi, come il porto di Gioia Tauro, decisa dal sodalizio a seguito dei duri e ripetuti colpi inferti dalle Forze dell’Ordine in Calabria. E da questo punto di vista la regione Liguria, per la sua posizione strategica, con il gran numero di porti e carichi di merci in transito, si presta perfettamente ai progetti criminali del sodalizio. Per tale motivo il porto di Genova, per le sue caratteristiche strutturali, si è progressivamente trasformato nel luogo in cui i traffici e gli affari illeciti, sia dei referenti della ‘ndrangheta che delle altre strutture criminali locali, si sviluppano e si moltiplicano, creando occasioni di illecito arricchimento in un territorio attanagliato, ancora, da una grave crisi economica e sociale».
Il dossier non poteva non rievocare le inchieste coordinate dalla Dda di Genova che hanno evidenziato la chiara strategia intrapresa dalla ‘ndrangheta – in contatto diretto con i trafficanti internazionali di sostanze stupefacenti dell’America del Sud – per l’utilizzo dello scalo ligure come hub rilevante del narcotraffico per diversificare le rotte. Così è stato creato un network di persone – elementi della criminalità comune, spedizionieri e addetti alle operazioni portuali – che potendo agire in libertà all’interno dei terminai portuali genovesi forniscono appoggio logistico alla criminalità organizzata gestendo i carichi di droga dal momento del loro arrivo in banchina fino all’uscita dall’area portuale.
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