X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

Avrebbe già avviato la collaborazione con i magistrati l’ex capo ultrà dell’Inter, in carcere per l’omicidio del rampollo della potente famiglia di ‘ndrangheta


L’ex capo ultrà interista della curva nord dello stadio San Siro di Milano, Andrea Beretta, ha deciso di pentirsi. Già da quasi due mesi avrebbe iniziato un rapporto di collaborazione con le forze dell’ordine e i magistrati lombardi titolari di alcune importanti inchieste riguardanti il business illeciti intorno allo stadio.
Beretta è in carcere per l’omicidio di Antonio Bellocco, il rampollo della famiglia di ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, avvenuto a Milano nei primi giorni dello scorso mese di settembre. Ci sono molti indizi che confermerebbero la decisione del pentimento di Beretta. Prima il suo trasferimento dal carcere di Opera a quello di San Vittore, in isolamento, sempre a Milano, per motivi di sicurezza. Poi, forse in questi ultimi giorni, il trasferimento in un carcere del centro Italia, lontano dalla Lombardia e dalla Calabria.

SI TROVA NEL CARCERE DESTINATO AI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA

In Italia un quarto dei pentiti detenuti sono rinchiusi nella fortezza di Paliano, provincia di Frosinone. Si tratta dell’unico carcere destinato solo ai collaboratori di giustizia. Protetti da una doppia cinta di mura che risalgono al XVI secolo, cercano di ricostruirsi un’esistenza frequentando i corsi professionali organizzati dall’amministrazione carceraria, in collaborazione con le associazioni del piccolo borgo, che ha imparato a convivere con l’ingombrante coinquilino.
Anche il legale di fiducia di Beretta, Mirko Perlino, ha abbandonato la sua difesa. Ora, lo stesso sarebbe assistito da uno degli avvocati solitamente nominati solo dai collaboratori di giustizia.
La notizia del pentimento di Andrea Beretta era nell’aria da tempo. Qualcuno pensava si trattasse di una semplice strategia, ma in realtà era quello che effettivamente aveva iniziato a fare l’ex capo ultrà interista.

CURVE E ‘NDRANGHETA, CAPO ULTRÀ DELL’INTER ARRESTATO PER AVER UCCISO BELLOCCO

Una decisione maturata dopo l’arresto per avere ammazzato Bellocco e l’altra tegola giudiziaria per l’inchiesta “Doppia Curva”, per la quale sono finiti in carcere diversi soggetti, che hanno gestito in questi anni gli interessi milionari degli stadi e, in particolare quello di Milano, compresi i servizi esterni, come ad esempio i parcheggi.
Una storia fatta di intrallazzi, aggressioni, minacce, pestaggi, droga, armi e qualche omicidio, qualcuno ancora senza colpevoli. E dal pentimento di Andrea Beretta, dalle sue dichiarazioni rese alle forze dell’ordine e ai magistrati milanesi, potrebbero scaturire molte risposte.
Andrea Beretta era uno che gestiva il potere intorno allo stadio milanese. E lo ha gestito in tutto e per tutto dall’omicidio di Vittorio Boiocchi, storico leader della Curva Nord del Meazza, ucciso a colpi di pistola sotto casa nel 2022. I magistrati della Dda di Milano, Sara Ombra e Paolo Storari, saranno partiti dall’interrogare il nuovo pentito per registrare le dichiarazioni riguardanti quell’omicidio ancora irrisolto, per arrivare al delitto Bellocco, del quale è accusato Beretta, prima ancora di tutto ciò che al momento non è emerso nelle indagini che hanno portato all’operazione “Doppia Curva”.

LA ‘NDRANGHETA VOLEVA UCCIDERE IL CAPO ULTRÀ DELL’INTER

Di certo c’è che Andrea Beretta aveva paura di essere ucciso. La ‘ndrangheta lo voleva morto, gliel’aveva giurato. «Beretta deve morire» – avrebbe rivelato qualcuno legato da vincoli di parentela con i Bellocco di Rosarno. «Che sembri un suicidio in cella o meno poco importa». Beretta, prima di ammazzare il rampollo del potente clan di ’ndrangheta, aveva saputo che Bellocco lo volesse ammazzare. L’omicidio di Beretta non doveva avvenire lì, fuori della palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio, ma in altra sede, c’erano delle ipotesi (tra cui stordirlo e poi sotterrarlo nella calce).

È arrivato prima Beretta con 21 coltellate sferrate con accanimento alla gola di Bellocco. Poi le indagini sugli ultras prendono velocità. Nel corso di esse si è evinto il metodo minatorio e mafioso di alcuni soggetti ed è emerso con ancora più forza il legame tra criminalità e numerosi altri soggetti, tra cui rapper e finti pugili, picchiatori. Sono emersi i tentativi della ‘ndrangheta, con i clan della jonica, della tirrenica e del vibonese, e di molti soggetti residenti al nord ma rimasti da sempre legati alla stessa organizzazione criminale, di infiltrarsi nel business dei parcheggi, dei biglietti e del merchandising, bagarinaggio, security nei locali, festini hard. Per questo, a tremare ora è la ‘ndrangheta, che ha “benedetto” in tutti questi anni gli affari collegati al tifo.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE