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MUSICA popolare che passione. Dopo anni di parziale oblio, l’ultimo decennio ha visto il ritorno in auge delle sonorità della tradizione musicale calabrese. Per anni accantonata, in qualche caso addirittura negata, si è assistito invece a una sorta di revival della tarantella (utilizzando un termine generalizzante), che è diventato un fenomeno di massa. Non c’è piazza che non abbia ballato ai ritmi dei vari gruppi etno-popolari che hanno proliferato a dismisura. Alimentando anche la discussione tra gli “integralisti” della tradizione, sostenitori di una musica quanto più attinente al bagaglio sonoro e strumentale del passato, e coloro più orientati a una sorta di rivisitazione e di adeguamento ai gusti della modernità. Ne abbiamo discusso con Mimmo Cavallaro, leader con Cosimo Papandrea dei TaranProject, con i quali, con centinaia di concerti all’attivo, ha contribuito, più di tutti, alla diffusione di questo fenomeno musicale. 

   

Maestro, i Tarantproject sono già nel pieno del nuovo tour estivo… 
«In realtà non ci siamo mai fermati. Abbiamo comunque un fitto calendario di serate, soprattutto nel mese di agosto. Calendario che si arricchirà certamente». A maggio la tournée in Germania. Che esperienza è stata? «È stato un tour intenso ma ricco di soddisfazioni. Abbiamo conosciuto un ambiente nuovo e abbiamo riscontrato un grande entusiasmo per la nostra musica, non solo nei tanti calabresi che vivono lì, ma anche nei tedeschi stessi, soprattutto nei giovani. Una grande soddisfazione».
 
 Brevemente, chi sono i TaranProject? 
«I TaranProject nascono nel 2009 con l’album “Sona battenti”, prodotto con Taranta Power di Eugenio Bennato con il quale collaboravo da tempo. L’obiettivo è quello di diffondere la cultura della musica popolare della Locride e della Calabria in generale, naturalmente con un’attenzione particolare alla cura dei ritmi e degli arrangiamenti».
 
 Qual è dunque il suo rapporto con la tradizione? 
«Guarda, mio nonno era suonatore di zampogna, i miei genitori conoscevano un repertorio vastissimo di brani della cultura popolare. E poi 30 anni di studio, passati nella raccolta di canti e brani degli ambienti rurali di tutta la regione. Insomma, senza questo bagaglio non sarebbe stato possibile andare avanti e i TaranProject non sarebbero mai esistiti». 
 
Cosa pensa della diatriba tra tradizionalisti e rivisitatori? 
«Penso che abbia ragione chi sostiene che la tradizione debba essere preservata, rispettata e tramandata per quella che è. Ma allo stesso tempo non sbagliano coloro che credono che ci sia bisogno di innovazione, di nuove contaminazioni, di nuove forme». 
 
Non teme che la nascita di così tanti gruppi che rielaborano a modo proprio la musica popolare possa diffondere un’idea sbagliata, o comunque diversa, di tradizione? 
«Questo può accadere se non si è onesti con se stessi, spacciandosi per quello che non si è. Ad esempio, io non posso dire di riproporre la musica tradizionale così come veniva fatta un tempo. Mi rifaccio a questo patrimonio, ma lo tramando arricchendolo sempre con qualcosa di mio». 
 
Quindi cosa dice a coloro che si avvicinano a questo mondo, da esecutori o da semplici ascoltatori che siano? 
«Dico loro di studiare, di andare in profondità, di andare comunque alla ricerca del vecchio repertorio e di conoscerlo a fondo. Se poi c’è la volontà di innovare, ben venga. L’importante è farlo con gusto e criterio e non in maniera improvvisata, solo per cavalcare l’onda di una tendenza».
 
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