TORINO – La ‘ndrangheta non è un fenomeno solo meridionale, e forse non lo è mai stato, e questo appare un dato ormai acquisito grazie alle innumerevoli sentenze, alcune già in giudicato, che hanno dimostrato come la struttura organica della criminalità organizzata calabrese si sia trapiantata con importanti ramificazioni in tutto il settentrione infiltrandosi spesso nella gestione dei grandi appalti che al Nord si trovano con maggiore frequenza rispetto che al Sud. Un sistema per allargare gli “affari” che ha beneficiato inizialmente di una certa sottovalutazione da parte dello Stato che invece negli ultimi anni ha avviato una intensa campagna di contrasto.
Ad ogni modo ciò che preoccupa maggiormente gli inquirenti, ma soprattutto la commissione parlamentare antimafia guidata dalla presidente Rosy Bindi, è il fatto che il fenomeno mafioso appare al Nord in costante crescita e tra le regioni «più penetrate benché in forme e a livelli assai diseguali» vi è il Piemonte.
Questo è il quadro che traccia il Primo Rapporto trimestrale sulle aree settentrionali “Le mafie al Nord”, realizzato dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano e presentato, oggi, a Torino, proprio dalla Commissione parlamentare di inchiesta.
In particolare nel Rapporto si rileva come «si avverte nel complesso un movimento uniforme e profondo, che interessa la maggioranza delle provincie settentrionali e ne mette a rischio sia l’economia sia gli schemi di azione amministrativa e politica». In particolare, dallo studio emerge «la capacità di ricambio generazionale espresse dalle organizzazioni mafiose, segnatamente dalla ‘ndrangheta». A dimostrarlo, come detto, ci sono «sia le inchieste lombarde, sia quelle piemontesi» che «rivelano, infatti, la presenza di un alto numero di esponenti dei clan nati nelle regioni di nuova residenza, perfettamente orientati a riprodurre gli schemi di condotta praticati dalle rispettive organizzazioni nei luoghi di origine».
Inoltre, «la successione, in un numero significativo di situazioni, avviene nella più perfetta continuità a dispetto del mutato contesto sociale e territoriale di riferimento. I dati acquisiti indicano anche una sorprendente capacità delle famiglie mafiose di ricostituire efficienza e forza operativa e di riprodurre una leadership interna dopo e nonostante gli interventi repressivi dello Stato».