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L’ATTESA era grande a Cosenza, l’entusiasmo palpabile e il tricolore sventolava alto lungo il perimetro dello Stadio San Vito – Marulla ieri pomeriggio; tutti attendevano il grande match che ha visto la Nazionale italiana di calcio femminile battere 2-0 i Paesi Bassi. Il primo appuntamento per le qualificazioni agli Europei 2025 che si terranno in Svizzera. Cosenza ha dunque ospitato l’attesissima partita della Nazionale femminile ma è stata anche, in un certo senso, protagonista di una rivoluzione culturale che vede le donne al centro di uno sport da tempo considerato, in maniera errata, prettamente maschile. Tante le famiglie con bambini per assistere sì all’evento sportivo ma anche per impartire una lezione di civiltà. Tante le associazioni sportive per seguire il match, tanti i giovani atleti pronti a seguire 22 calciatrici in campo sognando anche loro di far parte un giorno della Nazionale, quella italiana.

È il caso di Ramona, 12enne, calciatrice e «bomber della sua squadra»; la definisce così il suo mister. Con molta timidezza ci racconta della sua passione per il calcio che ha sin da bambina. E ora la coltiva anche in campo, allenandosi e sognando un giorno di giocare con la maglia azzurra. L’abbiamo incontrata assieme ai suoi compagni e assieme al mister e al presidente della Polisportiva Fuscaldese. Anche loro, in 50 tra giovani calciatori e calciatrici e lo staff, si sono mossi dalla costa tirrenica cosentina (Fuscaldo) per recarsi al Marulla.

Giovanni, Antonio, Martina, Alessandra, Francesco e Sofia sono invece i nomi dei giovani atleti della Asd Faradomus Sgf, associazione sportiva di San Giovanni in Fiore. Anche loro dalla provincia hanno voluto presenziare a Cosenza alla partita della Nazionale femminile. Li abbiamo incontrati all’entrata dello stadio assieme al loro mister, Maria Oliverio, con la quale abbiamo affrontato la questione del calcio femminile ancora poco sdoganato. «Tutti i nostri atleti della Faradomus – ha detto – sognano la Nazionale italiana. Ovviamente i maschietti non seguono la Nazionale femminile a differenza delle atlete. Ancora c’è molto da fare, non c’è questa cultura. Ma siamo sulla strada giusta visto che comunque a questa partita tutte e tutti sono venuti ad assistere con molto piacere». Anche Jacopo, 11 anni, ammette: «Sono appassionato di calcio, seguo la nazionale italiana ma non la femminile, non mi interessa molto». Onesto, così come il suo compagno di scuola Vittorio che invece ammette di non seguire affatto questo sport: «Sono entrato allo stadio 4 volte in tutta la mia vita, non seguo il calcio ma oggi ho deciso di venire perché sono curioso e perché volevo stare assieme ai miei compagni di classe». I due giovanissimi sono allievi dell’Istituto comprensivo Via Roma – Spirito Santo e assieme alla loro insegnante stavano attendendo il resto dei compagni per godersi insieme questa giornata.

E se, come ha fatto notare la mister della Faradomus di San Giovanni in Fiore, «c’è ancora tanto da fare ma siamo sulla buona strada», c’è chi già lavora sull’educazione delle nuove generazioni per rendere il calcio uno sport senza distinzione di genere. È il caso delle tante famiglie che ieri hanno popolato lo stadio e nello specifico è il caso di Mario, padre di Fabio e Gianluca, rispettivamente 5 e 7 anni. Ha portato i propri figli allo stadio «non perché a loro interessasse ma perché – dice – la reputo una forma di educazione totalizzante allo sport che è, e dovrebbe essere, universale e senza distinzione alcuna».

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Alessandro Chiappetta

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