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Intervista a Giovanni Scifoni: il celebre attore e drammaturgo romano presenta lo spettacolo “FRA’ – San Francesco, la star del Medioevo”, in scena venerdì 21 marzo al Teatro “Francesco Cilea” di Reggio Calabria e sabato 22 marzo al Cine-teatro Garden di Rende.
REGGIO CALABRIA E RENDE (COSENZA) – La Calabria si prepara ad accogliere uno degli spettacoli teatrali più attesi della stagione: “FRA’ – San Francesco, la star del Medioevo”, scritto e interpretato da Giovanni Scifoni, con la regia di Francesco Ferdinando Brandi. Un’opera che promette di trasportare il pubblico in un viaggio suggestivo tra storia, spiritualità e ironia, dando nuova vita alla figura del Santo di Assisi.
Il primo appuntamento è fissato per venerdì 21 marzo 2025 (ore 20.45) al Teatro “Francesco Cilea” di Reggio Calabria, nell’ambito della stagione teatrale dell’Officina dell’Arte, diretta da Peppe Piromalli e realizzata in collaborazione con Dedo Eventi di Alfredo De Luca. Uno spettacolo che si preannuncia imperdibile per il pubblico reggino, pronto a lasciarsi emozionare dalla narrazione appassionata e innovativa di Scifoni.
Il giorno successivo, sabato 22 marzo 2025, sarà il turno del Teatro Garden di Rende (ore 21), che si trasformerà in un vero e proprio palcoscenico fuori dal tempo per ospitare l’opera. L’evento rientra nel cartellone del Tirreno Festival, kermesse curata dal direttore artistico Alfredo De Luca, con il fondamentale sostegno della Regione Calabria e degli enti locali. Un’esperienza teatrale travolgente che unisce teatro, danza, canto, musica antica e laudi medievali in un viaggio emozionante nel cuore di uno dei personaggi più straordinari della storia.
Con la sua inconfondibile capacità di mescolare ironia, profondità e narrazione storica, Scifoni racconta il carisma esplosivo di Francesco d’Assisi: un uomo capace di conquistare folle sterminate con la sola forza della parola, un comunicatore visionario, un artista ante litteram che sapeva far ridere e piangere, cantare e ballare, incantando chiunque lo ascoltasse.
Sul palco, accanto a lui, le sonorità evocative di Luciano di Giandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli, che con strumenti d’epoca trasporteranno gli spettatori nel Medioevo, facendo rivivere l’energia mistica delle laudi francescane. Il celebre attore e drammaturgo romano porterà in scena un Francesco vivo, potente, capace ancora oggi di sconvolgere, ispirare, smuovere le coscienze. Un uomo che fece della povertà la sua ricchezza, dell’amore la sua rivoluzione, della parola il suo miracolo. Per saperne di più, abbiamo intervistato Giovanni Scifoni.
Giovanni Scifoni, perché San Francesco continua ad affascinarci ancora oggi?
«Francesco è stato un rivoluzionario. Ha cambiato completamente la storia del Medioevo e del cristianesimo. È stato un vero e proprio crocevia. Esiste un mondo prima di lui e un mondo dopo di lui».
Quando le hanno proposto di scrivere uno spettacolo sul suo conto, ha avuto un po’ di esitazione. Dico bene?
«Esatto! Ci sono già troppi film e rappresentazioni su San Francesco. Il mondo non ha bisogno che Giovanni Scifoni dica la sua. Ma quando ho iniziato a immergermi nel suo mondo e mi sono addentrato nelle fonti francescane, ho capito che ero io ad averne bisogno. Il suo messaggio ti sconvolge, ti devasta, ti entra dentro e non ti molla più. Il mondo non ha bisogno che gli artisti parlino di Francesco. Sono gli artisti a sentirne l’esigenza».
Qual è stata la sua strategia per evitare di cadere nella retorica?
«Il primo rischio è cadere negli stereotipi: il Francesco buono, amante degli animali, vegano, pacificatore. Ma basta approfondire per scoprire un uomo complesso, pieno di contraddizioni. Non aveva un solo modo di essere, ne aveva 36. E spesso in contrasto tra loro».
Giovanni Scifoni, lei ha definito Francesco “il santo più pop che ci sia”. Cosa lo rende così moderno e attuale?
«Era un grande “performer”. Un narratore e un predicatore eccezionale. Parlava davanti a folle immense con un linguaggio innovativo e provocatorio. Era capace di radunare 5mila persone senza mezzi di comunicazione, solo con la potenza della sua voce e del suo messaggio. Immagina il Medioevo, Assisi, anno 1200: niente social, niente pubblicità, eppure bastava dire “Ci vediamo domani alla Piana di Santa Maria degli Angeli per una predica” e accorrevano in migliaia. All’epoca, era l’uomo più famoso del mondo».
Se fosse vissuto oggi, quale mezzo avrebbe utilizzato per divulgare la parola di Dio?
«Sicuramente, i social. Francesco era un rivoluzionario e sapeva usare i mezzi più potenti del suo tempo. Nel 1200, i poemi cavallereschi erano il top della cultura pop, le storie che appassionavano i giovani, proprio come oggi la trap o i trend sui social. E lui li usava per predicare. Oggi farebbe lo stesso. Parlerebbe ai ragazzi con il loro linguaggio».
Giovanni Scifoni, lei ha dichiarato di voler evitare che il suo spettacolo sembrasse una canzone di Jovanotti. Cosa intendeva dire?
«Jovanotti è un grande artista però è molto bravo a semplificare la complessità, a raccontare mondi facilmente comprensibili e condivisibili da chiunque, senza generare alcun tipo di contraddittorietà. Certamente, non è un provocatore. Francesco, invece, scuoteva, divideva, provocava. Raccontarlo senza questa tensione significherebbe tradirne l’essenza, riducendolo a un’icona conformista, a un messaggio new age che mette tutti d’accordo. E questo non sarebbe un buon servizio in onore di Francesco».
Nel suo spettacolo combina teatro, danza, canto, musica antica e laudi medievali. Qual è la sfida principale nel raccontare Francesco attraverso queste forme artistiche?
«In scena, disegno pure. Ho voluto raccontare l’unificazione di tutte le arti perché Francesco era un grande artista; forse, uno dei più grandi della sua epoca. Ha scritto la prima poesia della storia in lingua volgare italiana, il “Cantico delle Creature”. Pensa che potenza espressiva incredibile aveva. Per restituire la sua figura di comunicatore e narratore ho messo in campo tutto ciò che potevo. Sul palco, insieme a me, ci sono musicisti straordinari come Luciano Di Giandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli. Le composizioni originali di Luciano Di Giandomenico mescolano jazz, rock progressive e musica contemporanea. Sembra di ascoltare il Banco del Mutuo Soccorso o i PFM con un sapore medievale. L’idea è far dialogare il suo tempo con il nostro al fine di raccontare la figura di questo grande artista».
Giovanni Scifoni, quale aspetto della teatralità di Francesco l’ha colpita di più?
«Lo stupore! Era un uomo che si stupiva continuamente e stupiva le folle con le sue prediche. E questo è molto teatrale. Il teatro, senza stupore, non esisterebbe. Il modo in cui trasmetteva il suo messaggio era imprevedibile. Quando “andava in scena”, cioè predicava, sovvertiva le aspettative del pubblico, spiazzava, creava attesa. Una volta, giunto in un paese dove sentiva troppa rigidità attorno alla sua predica, si avvolse nel cappuccio, salì su una pietra, rimase in silenzio per mezz’ora… e poi se ne andò. Un gesto quasi da teatro sperimentale anni ‘70, un linguaggio capace di scuotere senza bisogno di parole».
Parliamo del presepe, una delle “invenzioni” più geniali di Francesco. Come crede che vedrebbe oggi il Natale?
«Il Natale è diventato uno dei più potenti ingranaggi commerciali in Italia. È impossibile pensare che le tradizioni religiose possano restare immuni dal consumismo: il mondo moderno trasforma tutto in profitto, anche ciò che è sacro. È un tradimento dello spirito originario del Natale, ma allo stesso tempo è parte della natura umana. E Francesco, che aveva una misericordia infinita per le debolezze dell’uomo, probabilmente non si scandalizzerebbe troppo. Non pretendeva che tutti vivessero con il suo stesso rigore. Se un frate provava desiderio, Francesco non lo condannava ma si limitava a dire: “Non dobbiamo essere tutti frati!”. Aveva una straordinaria comprensione per le fragilità umane, e forse avrebbe avuto misericordia anche per la nostra debolezza consumistica».
Francesco è stato uno dei pochi santi a “cantare” la morte, a darle quasi un volto amorevole. Nel finale del suo spettacolo porta il pubblico a fare i conti con questo tema. Che reazioni si aspetta?
«Di solito, il pubblico si spaventa. C’è un attimo di puro terrore, perché chiedo loro di chiudere gli occhi, di “guardare” la morte. Ma poi arriva un momento di speranza, quasi una rivelazione: forse la morte non fa così paura. È un piccolo gioco teatrale che non posso svelare, va vissuto. Un gioco nato da un’idea di mio figlio, uno dei momenti più intensi dello spettacolo. Oggi la morte è un grande tabù: teniamo i bambini lontani dai funerali, dagli ospedali, dai cimiteri, come se dovessimo proteggerli dalla sua vista. Ma non sono i bambini ad avere paura della morte, siamo noi adulti».
Se potesse porre una domanda a Francesco oggi, quale sarebbe?
«Gli chiederei che futuro vede per la Chiesa perché mi preoccupa molto».
Progetti futuri tra teatro e tv?
«Su Rai1 è in onda “Che Dio ci aiuti”, mentre ho da poco concluso le repliche di “Aggiungi un posto a tavola”. Continuerò a portare in scena Francesco fino a maggio, poi tornerò sul set per la quarta stagione di Doc».
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