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I detenuti durante le prove

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SEBASTIANO Panepinto, 40 anni, di Napoli, ha ancora nella mente le immagini della rivolta a cui a marzo scorso, nel pieno dell’emergenza sanitaria da Covid, ha assistito nel carcere di Poggioreale. «Ero arrivato da appena due giorni e da appena due giorni mi trovavo a condividere la cella con altri undici detenuti.

Poi il caos, un migliaio di persone, per via delle condizioni a cui erano da tempo costrette hanno dato fuoco a qualsiasi cosa si trovassero davanti», racconta l’uomo, ora all’interno della casa circondariale “Sergio Cosmai” di Cosenza dove è stato trasferito.

È qui, nella struttura detentiva diretta da Maria Luisa Mendicino, che “Il Quotidiano del Sud” è entrato e lo ha conosciuto, insieme agli altri ristretti che da febbraio partecipano (grazie pure al Dap e al Prap) alla quarta edizione del progetto di teatro – intitolato “Amore sbarrato” e realizzato dall’attore e regista Adolfo Adamo – che, come di consueto, culminerà, probabilmente nel mese di ottobre, in un vero e proprio spettacolo al teatro “Alfonso Rendano”.

Adolfo Adamo

Quando questo giornale fa ingresso nel carcere della città bruzia Sebastiano e i suoi compagni stanno per l’appunto prendendo parte alle prove di quella che sarà la futura rappresentazione. Nella sala comune ci sono Sandro Maestro, 69 anni, di Cosenza, l’unico ad aver già recitato nell’ambito di “Amore sbarrato”; Nicola Fazzari, 34, di Reggio Calabria; Mario Trilli, 51, di Cosenza; Michele De Vuono, 40, di Cosenza; Silvano Ritiro, 32, di Sibari; Damiano Pardera, 37, di Vibo Valentia; Andrea Bevilacqua, 39, di Cosenza e Carlo Migliori, 35, sempre di Cosenza. Ma, in realtà, è di ben venticinque reclusi il cast messo insieme da Adamo.

«Questo pomeriggio – dice il regista –, come accade spesso, non riusciamo a essere al completo: qualcuno magari è a processo, qualcun altro a colloquio col proprio avvocato o con la propria famiglia».

Fatto sta che non è un martedì come tutti gli altri, qui in media sicurezza (il giovedì è invece dedicato alle prove dei detenuti di alta sicurezza). Si tratta, infatti, del pomeriggio del teatro, «dove – spiega Nicola – per qualche ora possiamo viaggiare con la mente, incontrare Adolfo che ormai è diventato per noi un amico che ci guarda senza pregiudizio, scoprire cosa significhi avere una passione».

I detenuti durante le prove

I fogli che i detenuti hanno con sé sono poi quelli del copione di “Hic et Nunc”: questa la denominazione della futura rappresentazione di Adamo, liberamente ispirata al romanzo di Dino Buzzati “Il deserto dei tartari”. «L’abbiamo letto tutti insieme il volume – spiega ancora il regista – e ci siamo concentrati sul concetto di attesa, rendendoci conto di come Giovanni Drogo aspetti la morte, mentre noi la vita».

Ecco, dunque, la potenza del teatro, di quell’arte che quando la conosci ti fa sembrare la cella una prigione. «Tramite il mio progetto – prosegue Adamo – si punta alla vera rieducazione del recluso, alla sua risocializzazione, a quello che può essere il reinserimento lavorativo nella società. I ragazzi – afferma –, con la cultura, possono davvero andare incontro a un’opportunità di crescita, oltre ad accendere il faro dell’autostima». Lo conferma pure Mario: «Magari, una volta uscito da qui, quello dell’attore potrebbe diventare un mestiere e poi è sicuramente un modo per rendere orgogliose le nostre famiglie».

E, ancora, Nicola: «Si tratta di una maniera per prepararci all’esterno, anche se forse l’esterno non è preparato a noi». Nelle oltre due ore di laboratorio, oltre a parlare pure di quella che sarà la scenografia, con l’elemento portante di un orologio senza lancette, si affronta il discorso del carcere, inteso come istituzione, e della posizione di chi si batte appassionatamente per la tutela di diritti e prerogative di chi è sottoposto alla risposta sanzionatoria dello Stato, senza avallare però l’abolizione del sistema carcerario tout court.

Noi stessi – dicono all’unisono i carcerati – non siamo pronti per eliminare il carcere dalla società, vorremmo tuttavia che il reinserimento fosse effettivo, l’umanizzazione della pena, conservare la nostra dignità». Perché sì, chi si trova in stato di detenzione conserva sempre un residuo della sua libertà, ultimo brandello in cui può espandersi il proprio “io”.

I detenuti durante le prove

«Lo abbiamo capito facendo teatro – dice a questo proposito Andrea – Abituati a un tempo senza tempo, al limbo delle nostre celle, ci sentiamo liberi quando recitiamo». Da qui l’idea del maestro Adamo, il cui progetto è in cantiere per la casa di reclusione di Rossano, di mettere su una compagnia di teatro stabile nel carcere di Cosenza.

Un po’ come ha fatto Armando Punzo a Volterra dando vita alla Compagnia della Fortezza. «Le basi ci sono tutte, se pensiamo del resto al fatto che un ex detenuto ha voluto, nonostante stia fuori, prendere parte anche a questo prossimo spettacolo dove, per la prima volta, reciteranno e reciteranno insieme detenuti di alta e media sicurezza – conclude Adamo –. Realizzare una compagnia stabile è un atto politico, significa dire al mondo che il teatro non è solo passione, ma una possibilità di vita».

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