Emilio Solfrizzi in una scena di "Il malato immaginario"
3 minuti per la letturaCOSENZA – «Non è tanto la paura di morire, ma è più la paura di vivere» dice Guglielmo Ferro, regista di “Il malato immaginario”, in cartellone al teatro Rendano di Cosenza il 2 marzo nell’ambito della stagione di prosa realizzata da “L’Altro teatro” in collaborazione col Comune di Cosenza, e il giorno dopo al teatro Cilea di Reggio Calabria.
Un Argante che resta attuale anche oggi in questo periodo pandemico per come, da parte sua, sottolinea e rilancia Emilio Solfrizzi, chiamato ad interpretarlo e a guidare un cast da sold out in praticamente tutti i teatri d’Italia, e Cosenza non farà eccezione.
Solfrizzi, cosa dobbiamo aspettarci allora da questo suo Argante?
«Che resti molto fedele all’idea originale, e comica, di Moliere. Un Argante che inventa dolori e malattie ma che ha anche la forza e l’energia per combattere contro tutti quelli che gli stanno intorno»
Chi è Argante oggi?
«La pandemia ne ha creati molti. C’è tanta gente che si è chiusa e che ancora si chiude in casa per paura di vivere, purtroppo».
Ma quando ci si avvicina a un personaggio del genere, c’è più paura, ansia, preoccupazione?
«Se mi permette, ci abbiamo messo tanto ad avere l’età e la maturità giusta per fare questi personaggi che quando ce li propongono che facciamo? Ce la facciamo sotto? E no… Ed è un personaggio che ormai vive da così tanti secoli che andrà avanti anche dopo Solfrizzi».
Ma Moliere lo scrisse per se stesso, e lui lo recitava a 50 anni. Oggi i cinquantenni sono un’altra cosa.
«Verissimo. Poi, da noi, la tradizione vuole che lo abbiano sempre interpretato attori in là con gli anni e che forse non facevano neppure troppa fatica a interpretare gli acciacchi».
A proposito, lei è all’alba dei sessant’anni…
«… e mi sento benissimo».
Ma un bilancio forse è giusto farlo, umano e professionale.
«Io sono un sessantenne felice. Il mio bilancio, in entrambi i campi, è assolutamente positivo».
Ma un attore bravo, simpatico e popolare come lei, non si vede un po’ troppo poco?
«Le dico la verità, dopo i 50 anni mi sono regalato la possibilità di scegliere di fare le cose che più mi piacciono. Non vedo in giro una tv di grande qualità e il cinema lo faccio quando mi capita ma spesso va in conflitto col teatro e il teatro lo sento più in linea col mio carattere».
Cosa le piace di più del teatro?
«Il contatto col pubblico. Il feed back immediato che il pubblico ti dà in sala la sera stessa».
A proposito di teatro, lei sta portando in scena “Il malato immaginario” e qualche anno fa “Il borghese gentiluomo” entrambi di Moliere. Prima ancora fu la volta di “Sarto per signora” di Feydeau. Si sta specializzando negli autori francesi o è solo un caso?
«Intanto c’è da dire che gli autori francesi ci hanno lasciato tante e tali cose da restare sempre molto colpiti. E poi Moliere lo trovo perfettamente calzante per le mie corde, i suoi personaggi sono divertenti e malinconici, hanno una pienezza che mi conquista sempre molto».
Una curiosità finale. L’ha poi cantata qualche volta “Amami di più”?
«Che film fantastico che fu “Se sei così ti dico sì”, ne sono rimasto davvero molto affezionato. Quello è il cinema che mi piace. Un film che resterà».
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