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L'attore Roberto D'Alessandro

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TERRONI compie dieci anni. Non solo. Dieci anni, duecentomila spettatori e 299 repliche. La numero trecento arriverà questa sera, a Castrolibero, all’anfiteatro “Vincenzo Tieri”, con inizio alle ore 21. Quello che una volta era solo uno spettacolo tratto dall’omonimo libro di Pino Aprile è diventato col tempo un vero e proprio urlo di rabbia per le condizioni di un Sud sempre più povero e di un Nord sempre più ricco. E a dare voce e fisico a questa perla di teatro civile è, da dieci anni a questa parte, sempre Roberto D’Alessandro, che dello spettacolo è anche adattatore e regista. Un traguardo che arriva nella “sua” Calabria e che sicuramente dieci anni fa era tutt’altro che scontato.

«Ricordo che debuttammo il 23 marzo 2011 a Roma, al teatro Quirino – racconta D’Alessandro – ma anche che all’epoca non capii bene cosa volesse dire uno spettacolo del genere. Mi accorsi solo in scena di quanto bisogno ci fosse di raccontare questa storia. Il teatro fu esaurito, vennero 740 persone e molta gente fu costretta a rimanere fuori. Un debutto indimenticabile».

E quali altri pensieri le attraversavano la mente?

«Ricordo la mia preoccupazione. Essendo anche produttore dello spettacolo ero anche abbastanza preoccupato da altre cose. Ma ricordo anche di essermi goduto l’aspetto tipicamente teatrale. Recitare da solo in un teatro come quello, pieno di pubblico, fu davvero speciale. Venne gente da tutta Italia. E ricordo anche un video che girò Pino Aprile in cui diceva che era tutto merito mio e di Mimmo Cavallo».

Negli anni cosa è cambiato?

«È la situazione intorno che è peggiorata. Un Sud depredato, sempre più povero e reso tale da una classe di bauscia. La spesa storica è una porcata, come lo è il federalismo fiscale. Quest’estate ho fatto il tour e ci si rende conto delle strade dissestate, della fatica che si fa per raggiungere certi posti».

Il rammarico?

«Che non c’è coscienza civica, di massa, rispetto a questa cosa. Altrimenti si tradurrebbe subito in un fatto politico. Qualcuno cerca di cavalcarla ma poca roba, e noi al Sud restiamo convinti che la colpa sia nostra e che debba arrivare l’uomo che risolva la situazione».

Eppure parliamo di argomenti dei quali lei con questo spettacolo parla da dieci anni e al Governo sono cambiati in tanti.

«È cambiata la forma, ma la sostanza no. Dieci anni fa non c’erano i Cinque stelle al potere e tantissimi voti li hanno presi proprio al Sud. Solo che invece di vedere questo voto come un urlo, si sono seduti al tavolo insieme a quelli del potere del Nord. L’ho sentita io la Castelli al Senato dire che ci portano via i soldi, che è giusto che Reggio Calabria abbia zero asili nido, che un portatore di handicap in Calabria abbia solo 40 euro all’anno. Esiste una dualità che fa paura, è un paese ingiusto. La forbice si allarga sempre di più e nessuno si è alzato per dire fermate sta roba».

Nel pubblico, in 300 repliche, il livello di consapevolezza è aumentato?

«Sì, un piccolo livello di consapevolezza è cresciuto. Aver fatto delle date, anche in questo momento di crisi, vuol dire che una certa sensibilità c’è».

Al sud o al nord?

«Al sud e al centro sicuramente. Quando ho fatto questo spettacolo a Milano o a Como, posti nei quali vorrei pure tornare, il pubblico era quasi tutto composto da meridionali. Ma l’abitante del nord mica è un nemico, è solo che subisce quello che gli viene detto. Del resto, un morto di fame è un morto di fame ovunque».

Quanta soddisfazione le dà interpretare questo spettacolo?

«Me ne dà molta perché si tratta di teatro civile. Questo spettacolo io sento l’urgenza, il bisogno di farlo»

Farlo in campagna elettorale può servire ad aumentare consapevolezza della storia che racconta?

«Non ho molta fiducia. Le dico una cosa: dei fondi del Pnrr al Sud non arriverà nulla. O arriverà pochissimo. Se li stanno già mangiando questi soldi e il conto lo presenteranno a noi del Sud».

Le chiedo cosa pensa degli schieramenti in campo alle Regionali: De Magistris?

«I problemi che Napoli aveva dieci anni fa sono quasi tutti rimasti. Alcune cose le ha fatte ma quella che manca è una visione, e noi meridionali siamo bravissimi a rassegnarci alla realtà».

Il centrodestra di Occhiuto?

«Di Occhiuto seguivo le interrogazioni parlamentari. La cosa che gli contesto è che la Lega deve restare fuori dalla Calabria. Noi per lo loro siamo sempre gli stessi: terroni, incapaci, quelli che dovevano viaggiare per conto loro. Io non credo proprio che loro siano cambiati, sono solo venuti a chiedere i voti».

Centrosinistra più Cinquestelle?

«Del Pd calabrese non ci sono parole per esprimere il peggio».

Oliverio? «Mi sembrano solo giochi personali. Non esprime un’idea, un punto di di vista. È un io invece di te. Tipico della politica coloniale».

Che fine ha fatto il movimento Equità territoriale legato proprio a Pino Aprile?

«Mi rammarico che non sia riuscita ad esprimere una lista alle regionali, dovevamo dare retta al nostro istinto primario. Avessimo raccolto anche solo tre voti, sarebbe andata bene lo stesso. Le idee sono enormi, mi auguro che abbiano uno sviluppo futuro».

Tra altri dieci anni saremo ancora qui a parlare di questo spettacolo e di questi problemi?

«Temo di sì. La speranza è che questa coscienza cresci e cammini. Bisogna solo avere quello che ci spetta. E allora cambieranno le cose. Dobbiamo smettere di pensare che l’unica possibilità che abbiamo è emigrare. Ma chi lo ha detto?».

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