Una scena dello spettacolo
4 minuti per la letturaDue serate sold out a Cosenza per il musical diretto da Piparo con l’artista texano protagonista
COSENZA – Sono trascorsi 44 anni e non si scherza. Era il 1973 quando Ted Neeley entrò nella leggenda nelle bianche vesti di Gesù del “Jesus Christ Superstar” cinematografico diretto da Norman Jewison. Tratto dal musical più rappresentato di tutti i tempi, il film divenne un cult proprio per la personalità magnetica di Neeley, cantante e batterista che ora – quarant’anni e passa dopo – restituisce corpo e anima a quel Cristo rock.
Lo fa per Massimo Romeo Piparo nell’ultima riedizione italiana dell’opera, che martedì e ieri è andata in scena al Rendano di Cosenza.
Era un appuntamento da sold-out annunciato per la rassegna organizzata dall’associazione “L’altro teatro” con il patrocinio del Comune, certamente per la presenza della star Neeley, insignito nella città bruzia del premio Agis. Tutti volevano vedere e ascoltare lui, impressionante reincarnazione di se stesso con parecchie primavere in più e un’invidiabile voce vigorosa e sempre abile in evoluzioni da pelle d’oca.
Settantatrè anni e non sentirli, forse perché lo spirito autentico dell’opera rock continua a battergli dentro, rievocando quell’avventura iniziata nel musical originale come semplice sostituto del Gesù titolare. Per il musicista texano è una vera prova di forza, assolutamente riuscita, fatta di sapiente equilibrio dell’energia fisica e intuizione delle necessarie esigenze di risparmio vocale in vista dei picchi più alti dell’interpretazione canora.
Ospite d’eccezione dell’adattamento di Piparo già da alcune edizione (entrò nel cast per festeggiare il ventennale dello spettacolo italiano), Neeley è ancora ispirato nel suo Gesù sanguigno e carismatico, che parla alle folle con lo straordinario potere della musica. I brani del musical di Webber e Rice sono riproposti fedelmente: impossibile per il pubblico trattenere la voglia di scandire il ritmo con battimani e movimenti dei tacchi, poco importa se i testi sono in lingua inglese e non è immediato tradurre. Alla vigilia della Settimana Santa, la vicenda cristiana è impressa nei cuori di ognuno, e a colmare qualche vuoto di memoria ci sono i versetti del Vangelo proiettati sul velatino, che scorrono mentre i bravissimi solisti cantano dal vivo accompagnati dall’orchestra del maestro Emanuele Friello. Serve solo lasciarsi guidare dalle emozioni, che in oltre due ore di spettacolo sono tante. La passione di Cristo rivive sul palcoscenico con l’inconfondibile marchio di fabbrica dell’opera rock.
I discepoli “seventy” di Gesù sono danzatori, acrobati e mangiafuoco abbigliati con jeans a zampa, sandali e frange. Da applauso Giuda (Feysal Bonciani, entrato nel cast anche per la somiglianza con l’attore del film di Jewison), che anima la scena più dark dell’allestimento, il suicidio profetizzato da lugubri trampolieri mascherati da corvi. Si mettono inoltre in evidenza in questa edizione del musical la sensuale Maddalena (Simona Di Stefano) e il Pilato di Emiliano Geppetti; Erode (Axel Torrisi) è invece una discostar con la tuta di lustrini e il mantello zebrato alla Freddy Mercury, e deride Gesù con la sua corte di ballerini in stivaloni fluo e parrucche rosa shocking. Inevitabile che il pubblico si spelli le mani con grande affetto per il Caifa cosentino Francesco Mastroianni, che tra i fan in sala ha anche la nonna Mirella Castriota, nella cui storica scuola di danza si è formato sin da bambino. Francesco fa parte già dal 2014 del cast di “Jesus Christ Superstar”.
Nella scenografia di Giancarlo Muselli e Teresa Caruso ci sono i ruderi della Galilea, le colonne romane, la distesa del deserto, il notturno giardino degli ulivi, che si avvicendano sullo schermo digitale che fa da sfondo a una pedana meccanica girevole, postazione fissa dell’orchestra. Gli artisti accedono al palco come materializzati dal nulla dietro una struttura di impalcature metalliche, saltando e dimenandosi nei trascinanti numeri di ballo. Se è vero che chi canta prega due volte, qui il rock si purifica dalla blasfemia (altro che suono del diavolo….) e presta la sua carica a un messaggio di redenzione che arriva dritto al cuore, che si sia credenti o meno. Come in una preghiera, non si può fare a meno di mormorare insieme a Gesù-Neeley, che chiedendo al Padre di perdonare l’uomo, mentre subisce le frustate toglie i peccati del mondo. Un miracolo che si ripete ad ogni Pasqua, come ricordano le immagini più agghiaccianti dei grandi crimini della storia. La Shoah, Hiroshima, la fame dell’Africa, ma anche i sacrifici di Martin Luther King e Gandhi, fino alla strage delle Torri Gemelle, i morti sui barconi e il femminicidio. Cristo purifica gli orrori e rinnova la salvezza, eppure a fare questo è stato “just a man”, soltanto un uomo.
Umana è la sofferenza nella scena culminante nell’orto del Getsemani, dove Neeley urla pietà a un Dio la cui volontà è già decisa e irrevocabile. Gli spettatori trattengono il fiato, molti occhi s’inumidiscono nell’apparizione di una croce luminosa che sarà l’ultimo luogo terreno del Cristo. Poi è immensa gioia, una resurrezione che si celebra in diretta dal foyer del teatro e irrompe tra le file della platea con il corteo di artisti festanti. Dopo l’uscita del cast, il finale, applauditissimo, è ballato senza sosta. Così sia, come dev’essere in un’opera rock.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA