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Intervista al maestro Stefano Amato che al Festival di Sanremo 2025 dirigerà Dario Brunori in gara con “L’albero delle noci”


A PROPOSITO di canzoni, da quando è uscita la notizia, di continuo gli intonano come un ritornello: «Dirige l’orchestra il maestro Stefano Amato, canta Dario Brunori». E pare di vederli entrambi, gli amici Dario e Stefano, nella solenne inquadratura che da Raiuno in mondovisione vibrerà di un incontenibile orgoglio calabrese. Il tifo “organizzato” che è in fibrillazione con pagine social dedicate e una campagna battente a far votare il cantautore cosentino per la prima volta in gara al Festival di Sanremo, adesso viene esteso con un coro di consensi anche a Stefano. Non solo talentuoso musicista della Brunori Sas, ma già incoronato – dettaglio non irrilevante quando si tratta di Sanremo – maestro più affascinante di questa edizione.

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Il progetto stimolato da Riccardo Sinigallia su un Brunori che dal ritiro alternativo di San Fili approda al Festival nazional-popolare («diventato un po’ Festivalbar», per dirla con lo stesso Brunori), ha visto l’impegno dell’intera band che, come una vera famiglia, i momenti importanti li partecipa e li condivide. Stefano Amato ha trascorso le vacanze di Natale a lavorare senza sosta alla scrittura su pentagramma di tutte le parti del brano “L’albero delle noci” da destinare all’orchestra dell’Ariston. Un impegno apprezzato e soprattutto premiato con la scelta di fargli dirigere proprio l’orchestra nelle quattro serate della gara (si riposerà invece venerdì 14 febbraio quando andranno in scena le cover). Originario di Spezzano Albanese, Stefano Amato vive da 25 anni a Rende, dove si divide tra affetti (è papà di due bambini), musica e insegnamento.

Da quanto tempo sei nella Brunori Sas?

«La mia prima esperienza da musicista con la Brunori Sas risale ad ottobre 2010, quando Dario fu invitato ad esibirsi come ospite al Teatro Goldoni di Livorno, un anno dopo il riconoscimento del prestigioso Premio Ciampi come miglior disco d’esordio».

E dopo 15 anni andate insieme a Sanremo. Qual è il tuo primo ricordo del Festival come spettatore?

«Il primo ricordo nitido da spettatore risale al Sanremo del 1990, avevo dieci 10 anni. Ricordo il brano ‘Vattene amore’ di Amedeo Minghi e Mietta, che spopolò quell’anno tra radio e classifiche, in rotazione anche nell’autoradio dei miei genitori».

Cos’hai provato quando ti hanno detto che dirigerai l’orchestra per l’esibizione di Dario?

«Credo di non aver realizzato immediatamente la cosa… Anzi, forse non l’ho realizzata tutt’ora! Non mi sono mai immaginato in un contesto del genere, sembrava lontano anni luce rispetto al percorso di un musicista che parte dalla remota provincia calabrese. Provo tanta gratitudine ed emozione, a volte la vita ti mette di fronte a cose inaspettate, questa è una di quelle».

Insegni Violoncello nella scuola media ad indirizzo musicale dell’Istituto comprensivo di San Marco Argentano e i tuoi alunni ti adorano. Come trasmetti loro l’amore per la musica?

«Ho iniziato a fare musica perché ho sposato una causa, ovvero rendere il mondo intorno a me più bello. Ho sempre provato grande conforto nel linguaggio dei suoni, immaginare che questo conforto potesse essere trasferito ad altre persone è sempre stato motivo di soddisfazione e di slancio. Ancora oggi la mia ricerca musicale è orientata verso l’idea di curare, curandomi. Ho sempre preferito essere considerato un artigiano piuttosto che un artista. Nell’attitudine dell’artigiano, nella sua ricerca, nel suo “cesellare” lento, ritrovo tutta l’umiltà ed il rispetto verso la musica che un musicista sincero ritengo debba avere».

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