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Niccolò Fabi durante un concerto

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VENT’ANNI di musica, numerosi progetti discografici e un percorso artistico all’insegna della libertà espressiva. Tutto questo è Niccolò Fabi che il 10 dicembre farà tappa a Cosenza al teatro Rendano con il suo “Tradizione e tradimento tour”, che prende il nome dal suo ultimo lavoro discografico. Di questo e di tanto altro ci parla il cantautore romano.

Si chiama “Tradizione e tradimento” il suo nuovo album, ce lo racconta?

«Parlare di 3 anni della vita condensati in 9 canzoni non è facile. Partendo banalmente dal titolo, sono due termini che hanno una familiarità tra di loro ma sono anche diametralmente opposti: da una parte il rispetto e l’importanza che ha la tradizione nella nostra vita, dall’altra il tradimento che non ha un connotato morale ma è una spinta stessa ad andare oltre, a rischiare, ad allontanarsi da alcune comodità per cercare delle scelte più scomode. Tutte le canzone più o meno sono nate all’interno di questo desiderio, di trasformarsi ma al contempo di rispettare un’identità che negli anni si è consolidata».

È un album che parla di scelte e che è stato esso stesso una scelta. Nella sua carriera ci sono state scelte importanti o scomode?

«Le scelte sono alla base di ogni vita, anche professionale, non solo nell’ambito artistico. E in ogni scelta badiamo alle nostre priorità. Ed è faticoso farlo. Più si va avanti più le scelte sono diverse e importanti. In questo caso, dal punto di vista artistico le scelte sono quelle di rinunciare a determinate cose e sposarne altre che possono determinare la tua carriera nel bene e nel male. Pian piano si dovrebbe imparare a far somigliare le proprie scelte a quelli che sono i reali desideri e principi».

Oltre al tour italiano che ha già registrato il sold out in numerose date, partirà in primavera anche un tour europeo.

«È un’esperienza che ho già fatto due volte, una con Max Gazzè e Daniele Silvestri all’epoca del nostro disco insieme, e poi tre anni fa da solo. È qualcosa che ha a che fare più con la gioia, il divertimento, la vacanza che con la professione vera e propria. Non andiamo in giro per conquistare mercati stranieri ma per onorare il privilegio di essere musicisti facendolo addirittura in giro per l’Europa, suonando anche in luoghi molto piccoli, dove l’atmosfera è completamente diversa da quella che si respira in una tournèe teatrale come quella che mi sto apprestando a fare. È un tipo di concerto più informale, più intimo, però ha un significato particolare perché gli italiani che hanno deciso di lasciare l’Italia per cercare lavoro, fortuna o identità all’estero, tengono sempre un filo nostalgico con la loro vita nel nostro Paese; e quando arriva un musicista che ha raccontato una parte della loro vita in Italia o che sentono vicini, sono serate per loro significative. Sentirsi dire poi “sei la parte dell’Italia che ci manca di più” è molto emozionante».

Intanto il 10 dicembre sarà in teatro a Cosenza.

«Sono felice di tornare perché ho un ricordo molto bello del concerto al teatro Rendano di tre anni fa. Immagino e spero che gli amici di Cosenza saranno di nuovo presenti a sentire la nuova tappa».

Nei suoi brani c’è tanta sperimentazione e tanta contaminazione. Come definirebbe la sua musica?

«La mia è indubbiamente una musica molto intima, ma non perché racconti del mio intimo, ma perché ha un linguaggio probabilmente che va a raccontare di alcuni meccanismi profondi che fanno parte di tutte le sensibilità. Non tutte le sensibilità sono uguali ovviamente, ma le mie canzoni vanno a toccare alcuni tasti interiori e anche se non raccontano di me, utilizzano un linguaggio molto intimo».

È considerato uno dei più importanti cantautori italiani, di questo sente più la responsabilità o l’onore?

«Sicuramente mi onora molto più di quanto possa pesare. Ovviamente le classifiche in campo artistico non sono come quelle in campo sportivo per cui se una persona corre i 100 metri in 10 secondi e un altro in 9, quello che ha corso in 9 è più bravo. I criteri nel nostro campo sono meno oggettivi. Perciò la prendo ovviamente con orgoglio perché ci sto lavorando con tanta dedizione da tanti anni, e vedere che questa cosa viene considerata, è solamente un grande onore e un grande piacere. Cerco di non pensare mai alla responsabilità, soprattutto quando scrivo le canzoni per evitare che questa cosa poi pesi e mi faccia scrivere in funzione di quello che credo che gli altri vogliano sentirsi dire. Mi farebbe sentire un po’ meno libero».

Si può dire che il suo successo sia stato consacrato nel Sanremo del ‘97 con “Capelli”. “Vivo sempre insieme ai miei capelli” è il verso della canzone difficile da dimenticare. Lei vive ancora sempre insieme ai suoi capelli?

«È una canzone scritta 25 anni fa, che per quanto io senta lontana e non la riscriverei mai in questo momento, in realtà vi riconosco lo stesso approccio nella scrittura che ho anche adesso. Parlo spesso di conflitti e di intimità e anche in quel caso quella canzone non era un’esaltazione della mia capigliatura ma raccontava un conflitto, un problema fra una persona e il fatto che potesse essere identificata solo attraverso una parte di sé, e quindi i limiti di questa cosa. Poi in quel caso raccontata in una maniera più ironica, però il principio era molto simile. Anche se ora non la riscriverei mai, riconosco però la stessa origine».

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Alessandro Chiappetta

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