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COSENZA – È on line dal pomeriggio di oggi “Ohi mà”, la nuova canzone degli Zabatta Staila, la band mascherata cosentina popolarissima sul web. La canzone è stata presentata nei giorni scorsi nella redazione centrale del Quotidiano del Sud. Quello che segue è il forum che tenemmo nella nostra redazione con i componenti della band

GUARDA IL VIDEO DI OHI MA’

IL 2017 che si chiude è stato l’anno dell’esplosione degli Zabatta Staila, boy band mascherata entrata nel cuore dei cosentini a colpi di ironia, rap e dialetto. Un pubblico senza età conquistato prima via web e poi nelle piazze. La loro pagina Facebook conta più di 19mila fan, il loro canale Youtube sfiora i 7mila iscritti, il loro brano più cliccato, Makinè, ha superato le 330mila visualizzazioni in neppure un anno. L’estate scorsa hanno girato in lungo e in largo la provincia: concerti, feste, palchi. Ovunque a portare la loro musica giocosa e graffiante, satirica e coinvolgente. Che muta, cresce, si evolve. Una visita in redazione è stata l’occasione per fare il punto sulla loro esperienza alla vigilia dell’uscita del loro nuovo brano: “Ohi mà”, qualcosa di completamente diverso da tutto quello a cui il popolo dei fan è stato abituato fin qui. C’è poca ironia, c’è poco da scherzare, l’argomento è un problema che da sempre affligge la Calabria e tutto il sud: l’emigrazione. “Ohi mà” è una struggente lettera alla madre di un figlio lontano, lontano da tutto, dalla sua terra, dai suoi affetti, dalla sua vita drasticamente spostata. Alle domande dei giornalisti del Quotidiano rispondono praticamente tutti insieme e ognuno aggiunge qualcosa alla risposta dell’altro. Tra il serio e l’ironia. Come sempre. In pieno stile Zabatta. Ecco allora Zabatta, Solfamì, Jakky di Nola, Vana, Spagna e Marracaibo.

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Com’è questa “Ohi mà”?

«È la prima canzone seria degli Zabatta. Stavolta non si ride. È la storia dell’emigrato del 2017. Uno dei primi versi fa “Questa cosa te la voglio dire anche se poco fa ci siamo visti su Skype”. Vogliamo sempre cambiare, riteniamo sia giusto. E poi abbiamo cercato di avvicinarci musicalmente ai ragazzi. E anche alle ragazze».

Il video lo avete girato a Londra: quando uscirà?

«Nei prossimi giorni. E vi diamo uno scoop. C’è Mario Gualtieri. O meglio, un Mario Gualtieri».

Torniamo alle origini: perchè la maschera, come vi è venuta questa idea?

«È stato un tentativo di andare controcorrente. Intanto non volevamo mischiare le nostre identità. E poi ci siamo accorti che spersonalizzandoci, nell’era dell’immagine a tutti i costi, è stato un punto di forza. In fondo abbiamo scelto di non esistere. Se uno si ritrova in quello che cantiamo, allora anche lui è Zabatta. Un po’ come Robin e Batman. Quelli degli anni ‘60 però».

A Cosenza a Capodanno suoneranno gli Skunk Anensie. Voi eravate impegnati?

«Sì. Approfittando del fuso orario suoniamo la stessa sera a New York, Berlino e Luzzi. A Luzzi per la verità aspettiamo conferma».

A proposito di Cosenza: tra voi, Nunzio Scalercio, Sergio Crocco, i Cinghios, perchè negli ultimi tempi si è sviluppato questo filone ironico spesso legato ai temi della politica?

«C’è questo fermento, sì. Evidentemente c’è voglia di concentrarsi su temi locali, di guardarsi più da vicino. Il sindaco, o in genere, chi sta al governo, poi ispira sempre la satira e l’ironia. E ovviamente si parla delle idee, non delle persone»

E nei vostri testi non mancano le critiche…

«Beh… il ponte di Calatrava è bellissimo ma inutile. Inutile sarebbe anche la funivia. E vedere il centro storico che crolla fa davvero male».

Occhiuto vi ha incontrato, però.

«Sì, ma non abbiamo capito se ha capito. Non so se avete capito»

Perchè il video di “Un ci rimana mali” lo avete girato in un bagno?

«È una citazione colta. Una scelta stilistica. Ci siamo ispirati alla sigla della serie tv Shameless che è tutta girata nel bagno. La verità è che avevamo pochissimo tempo, dovevamo sbrigarci, in un giorno dovevamo fare tutto. Eravamo indecisi tra bagno e frigorifero e poi abbiamo scelto il bagno».

Come nascono invece le vostre canzoni?

«Joca Cusè è nata in un’autofficina. Eravamo lì per una festa privata. Siccome dobbiamo sempre fare l’entrata alla Pink Floyd ci hanno chiuso in una stanzetta. Freddissima. Tra l’olio, il grasso, delle auto e tutto il resto. A quel punto c’è venuto da fare questa specie di Gioca Jouer cosentino. Scriviamo io e Solfamì (dice Zabatta) con i nostri tempi. La musica è una religione per noi, la viviamo 24 ore al giorno, preferiamo così anche a costo di stare senza soldi».

I tanti concerti della scorsa estate hanno risollevato le vostre finanze?

«Beh, sì. Jakky ha comprato un superattico a Vadue e il macchinone con l’impianto a gas; Vana va a fare il trapianto dei capelli in Turchia, Spagna pure. Io e Solfamì (dice Zabatta) ce li siamo bevuti a Santa Teresa».

A scrivere una canzone sul calcio, ci avete mai pensato?

«Noi siamo super legati a Cosenza e al Cosenza. Ma il calcio non lo seguiamo tanto. Ci avevano chiamato per la canzone dei Mondiali, poi però è andata male e quindi…».

Ci raccontate qualche aneddoto da dietro le quinte?

«A Serricella di Acri ci siamo cambiati in macchina davanti a un tabacchino. Il titolare ha visto uscire questi mascherati, compreso uno con una mazza in mano, è rimasto terrorizzato. Poi il palco era a un chilometro, ce la siamo fatta a piedi con la gente dai balconi che ci applaudiva. Poi la serata con Marco Carta, a Rose: è venuto a salutarci ma io (dice Marracaibo) non l’avevo riconosciuto, l’avevo scambiato per un ragazzino qualunque. Capodanno a Cosenza dell’anno scorso, infine: palco transennato ma siamo stati costretti a portarci i microfoni da casa. Quando finimmo, poi, il dj Ralph Kasabian, che è uno famosissimo, vede Vana e Spagna e dice: well done, guys, well done… A noi due (dice Solfami riferendosi pure a Zabatta) non ci ha calcolati proprio. Era mbriaco perso. Però sincero (aggiunge Vana)».

Avete un sogno, un obiettivo?

«Sì, suonare al Madison Square Garden. O al palasport di Casali».

Al forum hanno partecipato i giornalisti Tiziana Aceto, Maria Francesca Fortunato, Michele Inserra, Alfredo Nardi e Alessandro Chiappetta.

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