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Andrea Scanzi

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COSENZA – Se si chiede ad Andrea Scanzi cosa ha rappresentato Franco Battitato per lui, la risposta è di quelle assolute: “Un mito. Un genio. L’ho scoperto che avevo 18 anni e già a quell’età mi era chiara tutta la sua profondità. Un punto di riferimento che non ho mai mollato”.

E a poco più di un anno della morte del cantautore siciliano l’omaggio che Andrea Scanzi ha inteso rendergli, farà tappa a Cosenza: l’appuntamento è al Castello Svevo, venerdì 17 alle ore 21 quando andrà in scena lo spettacolo dal titolo “E ti vengo a cercare” del quale Scanzi è protagonista insieme a Gianluca Di Febo. Uno spettacolo che nasce dall’omonimo libro che lo stesso Scanzi scrisse riempiendo di aneddoti ed episodi della vita del cantautore e che ora prendono vita sul palcoscenico.

Del rapporto tra Scanzi e Battiato c’è poco di giornalistico. Si tratta davvero di un fan davanti al suo mito, si tratta davvero di quelle sensazioni che si provano davanti al faro di un’esistenza che quella esistenza, attraverso canzoni, interviste e film, l’ha ispirata e sostenuta.

Scanzi, ha un ricordo personale di Franco Battiato?

“No, non l’ho mai conosciuto. Avrei potuto farlo in qualunque momento, col mestiere che faccio, ma ho sempre avuto una sorta di pudore, come se fossi stato bloccato dalla convinzione di parlare di una persona troppo più grande di me. Che fosse troppo mistico, troppo lontano, irraggiungibile. L’ho detto e lo ripeto: un mito, un genio assoluto”.

Andrea Scanzi e il suo libro

E non le rimane un po’ di rammarico?

“Le rivelo una cosa: ho ricevuto una mail del fratello quando lui si ammalò ed era già in fase irreversibile. Mi scrisse: sappia che mio fratello le voleva tanto bene e la seguiva in tv”.

Cosa aveva Battiato ai suoi occhi che gli altri non avevano?

“Aveva una bellezza speciale. Aveva intorno a sè un’aurea diversa da tutti quanti gli altri. E poi era diverso nelle canzoni, nei testi, negli argomenti che cantava, nel timbro della voce. E poi mi piacevano questi concerti con lui seduto a terra che si muoveva pochissimo ma emanava un’energia e un carisma incredibile”.

Lei qualche anno fa portò in giro, anche in Calabria, uno spettacolo-omaggio a De Andrè. Dobbiamo aspettarci qualcosa di simile?

“Sì, la struttura è quella lì. C’è un mio racconto, preso dal libro, e un musicista che interpreta otto, nove canzoni. E per la prima volta qualcuna la canto anche io”.

Bravo! Ma dica la verità, trova qualche punto in comune tra giornalismo e teatro?

“Sono due linguaggi che hanno dei punti in comune, sì. Io faccio teatro da 12 anni, sono stato il primo giornalista dopo Travaglio a salire su un palco e avendo una buona dialettica mi è riuscito. Poi, è chiaro che io racconto quello che scrivo, mica mi metto a fare Shakespeare, non lo saprei neanche fare. E’ un teatro di narrazione, uno scrittore una storia ce l’ha sempre in testa, anche quando deve parlare in tv di Renzi o di Salvini”.

A proposito di teatro, ha letto di Stefano Massini, toscano come lei, e della vittoria ai Tony awards?

“Non lo conosco personalmente ma so che è molto bravo e merita un premio del genere. Mi auguro che questo premio possa dare, perchè no, una spinta a tutto il teatro italiano, un mondo sempre martoriato, sempre sofferente e dove soldi ne circolano sempre di meno”.

Sempre a proposito di teatro e dei suoi incontri, ancora gira sul web una lunga intervista che lei fece a Gigi Proietti nel 2017…

“Ne ho un grandissimo ricordo. Eravamo ad Arezzo, ad un festival che organizzavo io. Lui venne gratuitamente e quella sera scoprì di avere la febbre. Era stanco morto. Salì sul palco, si lasciò intervistare per più di un’ora. Gigi Proietti è stato un gigante del Novecento, un mostro, e aveva la caratteristica tipica dei giganti, che io ho notato in lui e in Giorgio Gaber: l’umiltà di non tirarsela mai e di ascoltare più che parlare. Si mostrava incuriosito della mia vita, mi chiedeva del giornale, dei libri, di tutto quello che avrei voluto fare. Quando è morto ha lasciato un vuoto. Al contrario di Battiato, la sua morte è stata pure un colpo improvviso. Gigi manca a tutti, anche a livello umano”.

In questi anni di pandemia lei si è imposto come uno dei giornalisti più seguiti sui social.

“Sono stati due anni di merda. Letteralmente. Ho perso amici e parenti. Per quanto riguarda la carriera c’è stata la necessità di inventarsi qualcosa e allora ho iniziato con le dirette Facebook. Al netto delle tragedie, per me è stato un periodo ispirante: ho iniziato a convivere con la mia compagna, ho scritto libri, sono uscito in moto, ho scoperto il padel…”.

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