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Luca Argentero in scena

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Tanti applausi per Luca Argentero protagonista a Rende dello spettacolo “E’ questa la vita che sognavo da bambino?” in cui ha raccontato personaggi «che hanno reso possibile l’impossibile»

TRA lunghi applausi e un pubblico in delirio, Luca Argentero ha chiuso in bellezza la quinta edizione del Rende Teatro Festival. La kermesse, ideata e curata da Alfredo De Luca, inserita nel progetto “Tirreno Festival” in collaborazione con la Regione Calabria, ha saputo conquistare il cuore degli spettatori, registrando numerosi sold out, grazie a una programmazione che ha visto calcare il palcoscenico del Cine-teatro Garden di Rende artisti di grande calibro. Il doppio appuntamento con Argentero, in scena con lo spettacolo “È questa la vita che sognavo da bambino?”, diretto da Edoardo Leo, ha segnato il culmine di una kermesse di successo. Con una presenza scenica magnetica e un talento straordinario, Argentero ha incantato il pubblico, guidandolo alla scoperta delle vite di tre sportivi italiani dalla vita “impossibile”: Luisin Malabrocca, Walter Bonatti e Alberto Tomba.

Il celebre attore, noto per le sue brillanti interpretazioni sul grande e piccolo schermo, tra cui spicca l’acclamata serie “Doc- Nelle tue mani”, ha dimostrato grande versatilità, un indiscutibile carisma e una sagace ironia portando sul palco una pièce coinvolgente, intensa e ricca di sfumature.

Argentero, com’è nato lo spettacolo “È questa la vita che sognavo da bambino?”

«Lo spettacolo è nato dalle storie che banalmente raccontavo a Edoardo davanti a un bicchiere di vino a cena al ristorante. È stato lui a suggerirmi di raccontarle al pubblico. Non sapevo da dove iniziare così Edoardo mi ha aiutato a confezionare questo spettacolo e ne ha curato la regia. Mi sono fidato del consiglio di un ottimo amico, molto più esperto di me in fatto di storie da raccontare».

Com’è stato lavorare con lui?

«È stato molto piacevole costruire la pièce teatrale. Come sai, a teatro, il regista segue lo spettacolo fino al debutto, poi diventa un percorso più solitario».

Luisin Malabrocca: il ciclista “inventore” della Maglia Nera. Qual è stato il suo approccio nel raccontare la storia di Malabrocca, considerando il suo ruolo nel Giro d’Italia?

«Nel dopoguerra, c’era bisogno di istituire un premio di consolazione. Come tanti altri Paesi, l’Italia era devastata dalla guerra. Tanti piccoli sponsor locali mettevano in palio dei premi per l’ultimo arrivato. Luisin Malabrocca si è reso conto che arrivando ultimo guadagnava più rispetto a chi arrivava primo, anche in termini di cibo. Era un ciclista particolarmente affamato (ride, ndr). La sua storia serve a raccontare una certa astuzia, furbizia, arguzia nel decifrare la realtà e portarla a proprio favore che è tipicamente italiana».

Walter Bonatti è stato un alpinista leggendario, noto per aver affrontato incredibili sfide nella roccia. Come ha trasformato la sua vita e le sue esperienze in un racconto avvincente?

«Bonatti è la classica figura dell’eroe contemporaneo: un uomo solitario che non solo lotta contro la natura e le sfide che si prefigge di superare ma anche contro gli uomini. La sua epopea passa attraverso il grande caso della scalata del K2 che, in parte, racconto nello spettacolo. Quindi, è una doppia sfida per ottenere le vette più grandi del mondo e per ottenere la verità».

Alberto Tomba è una figura iconica dello sport italiano, conosciuto per la sua personalità vivace e le sue vittorie olimpiche. Com’è stato catturare l’essenza di “Tomba la bomba”?

«Alberto è il mio idolo personale, è il mio poster appeso in camera. Ognuno ha il suo. Alcuni ragazzini avevano i calciatori, altri i piloti, altri ancora le rockstar. Io avevo Alberto Tomba. Sono cresciuto con questo mito. Sono figlio di un maestro di sci e un appassionato sciatore. Quando lui vinceva tutto, ero un ragazzino. Sono felice non solo di averlo raccontato ma anche di averlo conosciuto e di aver avuto un’ottima impressione del mio eroe. È stato un incontro incredibile! Ci sentiamo su WhatsApp; è un’amicizia che coltivo con grande gelosia».

Temi comuni o tratti distintivi che legano queste tre storie?

«Sono tre personaggi che hanno reso possibile l’impossibile».

Argentero, lo spettacolo si apre proprio con un’attenta riflessione sull’aggettivo “impossibile” …

«“Impossibile” è un aggettivo particolarmente truffaldino perché a volte basta cambiare punto di vista, concentrarsi fermamente su quel che si desidera ed è così che l’impossibile diventa magicamente possibile».

Cosa può imparare il pubblico da questi personaggi?

«Questo non è uno spettacolo volto a insegnare qualcosa. Magari, il pubblico scopre storie che non conosce e, uscendo dal teatro, avrà voglia di fare ciò che prima non aveva il coraggio di fare».

Riprendendo il titolo dello spettacolo, è questa la vita che sognava da bambino?

«È molto meglio!».

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