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Battiato a Cosenza durante il concerto del 2000 (foto Ercole Scorza)

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di FRANCO DIONESALVI

La scelta non fu facile. A parlarne adesso, vent’anni dopo, può sembrare persino un’iniziativa banale. Ma insomma, un Capodanno in piazza, a Cosenza, non si era mai fatto. E non si sapeva come sarebbe andata, se la gente avrebbe partecipato, o se sarebbe finita in un grande flop. Poi c’erano le solite voci critiche: perché spendere tanti soldi, mentre c’è gente che muore di fame?

Eppure eravamo convinti che per la città sarebbe stata una cosa importante. Certo, nel suo “piccolo”, di una manifestazione dell’effimero. Ma era un altro tassello, ancora dell’attività culturale che si poneva non per accontentare, ma per ribaltare gli equilibri stantii, le logiche del prevedibile e del tutto uguale. In quell’anno che chiudeva un millennio, e insieme ne apriva uno nuovo.

Prima di allora, almeno a quelle latitudini, il Capodanno era stata solo una festa privata, uscire dal cliché era impensabile. Solo che la festeggiava chi poteva permetterselo, chi aveva i soldi per pagarsi il cenone e il veglione, nel suo club, nella sua festa a pagamento. Per gli altri, c’era qualche cartuccia da sparare dal balcone a mezzanotte, e poi la televisione e basta.

E invece, la festa in piazza rendeva il Capodanno una cosa pubblica, non più privata, non più di club. Ed era di tutti, tutti insieme, al di là delle classi sociali e dei portafogli. Con una energia, peraltro, moltiplicata dall’essere in tanti, dall’incontrarsi, dal mescolarsi.

Senza più necessariamente gli abiti da sera, ma vestiti come capitava, animati solo della voglia di fare festa. Avevamo preparato anche le bancarelle con lo spumante distribuito gratuitamente a tutti. I grandi fuochi d’artificio dalla collina.

E poi lui, Franco Battiato. Anche sul nome discutemmo a lungo. Il sindaco Mancini, io, Luca, Ercole. Quando si prospettò la possibilità di portare a Cosenza il maestro siciliano, però, non avemmo più dubbi. Perché si trattava del nome che metteva d’accordo generi diversi; che a tutti aveva qualcosa da dare.

Quel concerto fu un piccolo grande evento, una di quelle notti che cambiò la città.

È bello ricordarlo adesso, che il covid ci ha risospinto nel privato e la voglia di tornare ad essere insieme, a stare stretti anche con gente che nemmeno conosci, è tanta. Forti anche di quella lezione dolce e intensa che ci è giunta da quel palco. Perché la verità bisogna “andarla a cercare”. E incontrare l’altro è imparare ad “avere cura” di lui.

*scrittore ed ex assessore alla Cultura a Cosenza

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