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Carmelo Giordano e Caterina Misasi in una scena di Arberia

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E’ UN felice connubio glocal l’approdo di “Arbëria”, primo lungometraggio in lingua arbereshe, su Netflix. Un film certificato dal Mibact e dedicato alle antiche tradizioni dell’etnia di origini albanesi, scritto e diretto da Francesca Olivieri (qui all’esordio nella regia), ma soprattutto un piccolo miracolo di passione e determinazione. Prodotto dalla Open Fields dei cosentini Fabrizio Nucci e Nicola Rovito con la partecipazione delle Film commission calabrese e lucana, ha potuto contare anche sul sostegno di un nutrito crowdfunding e sponsor pubblici e privati locali.

La regista, piemontese di famiglia arbereshe, esprime le contraddizioni di chi nasce in un hinterland segreto, dove la periferia diventa ancora più chiusa, quasi inaccessibile, nell’appartenenza a un’identità custode di riti e linguaggi minacciati dall’estinzione.

A torto classificato come documentario nei vari portali di tema audiovisivo, “Arbëria” è un’autonoma opera narrativa, dove certamente il racconto cede spazio alla rappresentazione di luoghi e tradizioni, ma senza penalizzare la trama. Che non è esattamente innovativa, va precisato: il plot segue lo schema collaudato del contrasto generazionale e alla fine le tensioni si risolvono in modo un po’ consolatorio, da fiction appunto. Ma abbiamo già detto come il punto di forza del film siano piuttosto le immagini, i colori, la natura, la musicalità teatrale della lingua arbereshe. E certi dettagli dei mestieri artigianali, affascinante elogio del pensiero lento nella quotidianità delle minoranza etniche.

Girato principalmente nei centri del Pollino cosentino abitati dalle comunità albanesi, la magnificenza di chiese e mosaici e la roccia delle case attecchite sulle colline in un presepe verticale fanno da cornice di bellezza pura alla storia di Aida e Lucia. Due donne, perché il punto di vista del film è femminile – e sarà il legame di genere, la sorellanza, a svelare il senso della vita nella progressiva consapevolezza della protagonista. Aida (l’attrice di origini calabresi Caterina Misasi, volto televisivo noto) torna nel paese natio per commemorare la morte del padre, con cui ebbe un rapporto burrascoso, con l’epilogo della fuga della donna al Nord. A casa ritrova il testardo fratello Ascanio (Carmelo Giordano) e si riaccende il conflitto sulle vecchie questioni di famiglia. Emigrata alla ricerca di una libera affermazione, Aida ha però portato con sé l’arte paterna della sartoria e non riesce a liberarsi dei fantasmi del passato – nel film incarnati dalla giovane e bravissima corissanese Denise Sapia, che appare nei suoi sogni come un tormentato alter ego. Una figura che fa da specchio onirico di Aida: indossa veli da sposa ricamati d’oro ma canta davanti a coltelli che riaprono ferite mai cicatrizzate, e riemerge dalle macerie di un borgo distrutto. A farle capire il significato di quelle visioni è la nipote Lucia (Brixhilda Shqalsi), che rappresenta il nuovo corso e una ribellione molto lontana dalle lotte dei padri, idealista ma pure cinica e inflessibile.

Come in “A Chiara” di Jonas Carpignano, anche qui è la più giovane a dare lezioni di saggezza. Lucia che se ne frega delle critiche per le minigonne o i baci focosi in piazza con il fidanzato, che è scappata ma ha subito capito che sta bene soltanto dove ci sono le radici e che il paese è come qualcuno che resta sempre ad aspettarti e non ti fa mai sentire solo.

Quando si parla di famiglia siamo tutti deboli e le nostre mani iniziano a tremare. “Il futuro ha un cuore antico”: Aida, ripartita, sente presto il richiamo a tornare e vorrà aiutare la nipote a organizzare la fastosa celebrazione nuziale e cucire il tradizionale abito arbereshe. Una scena lunghissima con attori in costume folklorico, canti e balli (le musiche originali del film sono del talentuoso Luigi Porto, cosentino residente da anni a New York e collaboratore del maestro Angelo Badalamenti) conclude “Arbëria”, che grazie al volano di Netflix ci si augura possa amplificare la sua diffusione – ultimato nel 2019, prima della pandemia era stato visto nelle sale in qualche anteprima speciale tra Calabria e Basilicata e poi disponibile solo a noleggio e on demand, distribuito da Lago.

Con l’auspicio di avere nuove pure occasioni di vederlo anche al cinema e valorizzare la fotografia di panorami mozzafiato e il montaggio del mitico Fabio Nunziata. Tifiamo sempre per il grande schermo, finché si può.

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