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Giulio Vita con il gelato, una delle sue grandi passioni

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È NATO in Italia e cresciuto in Venezuela in una famiglia calabro-venezuelana, Giulio Vita. Ha studiato Giornalismo a Caracas e quindi Cinema a Madrid. Nella capitale spagnola ha conosciuto Sara Fratini, illustratrice venezuelana che all’epoca studiava Belle Arti. Dopo la laurea, alla fine del 2012, Fratini e Vita decidono di andare a vivere ad Amantea, il paese calabrese dei nonni di Giulio. Ed è qui che danno vita a “La Guarimba”. Sara adesso vive a Madrid dove lavora come street artist e illustratrice, ma torna d’estate ad Amantea. Giulio, invece, vive ad Amantea dove si occupa tutto l’anno di progetti culturali.

All’inizio “La Guarimba” – che in venezuelano significa “posto sicuro” – nasce come festival del cortometraggio, diventa poi Associazione culturale di Innovazione Sociale. I volontari e i registi che hanno partecipato alle prime edizioni del Festival l’hanno rinominata “esperienza di comunità”. Anche quest’anno si farà (LEGGI), anche se in forma ridotta.

Per Giulio è un progetto di vita e una scommessa vinta. Di più. Accanto al “La Guarimba International Film Festival”, ad agosto, ecco nascere anche il “CinemAmbulante”: una residenza cinematografica a giugno che quest’anno è stata rinviata a settembre per l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19.

Vita, intanto come ha trascorso questi ultimi mesi e qual è se c’è qualcosa che ha imparato dal lockdown?

«Quando è iniziato tutto mi trovavo nel cuore dell’Amazzonia, nella tripla frontiera Colombia-Brasile-Perù, e il viaggio di ritorno non è stato facile. Ero stato un mese ad attraversare il fiume Amazonas. Poi ho fatto due mesi di quarantena a Roma, ad imparare giardinaggio ed organizzare la squadra che si trovava in Calabria. Ma non solo: attraverso Zoom sono stato di conferenza in conferenza, parlando con i nostri sponsor, con le Ambasciate che ci sostengono. E ho collaborato alla creazione di una Rete di Festival Calabresi nata per aprire una finestra d’interlocuzione con la Regione Calabria. Con loro ho incontrato l’Assessore alla Cultura. Nelle località balneari come Amantea, se tutto si cancella, si rischia di entrare in una crisi economica peggiore di quella che stiamo vivendo. Nel tempo libero ho visto film e serie tv, ho letto libri e fumetti. Più che imparare, ho confermato certe cose: che quando ci obbligano a fare sforzi, usciamo facilmente dall’arretratezza tecnologica (finalmente tutti hanno capito quanto sia facile fare riunioni con videochiamate), che la diffidenza si combatte con fiducia (nella rete dei festival calabresi c’è molto lavoro, per cui è inutile essere sospettosi gli uni con gli altri), e che tutto può cambiare (nel bene e nel male)».

Lei è ideatore del La Guarimba International Film Festival, di Cinema Ambulante e dunque comunità. L’esperienza del coronavirus può rafforzare l’idea di comunità al di là delle regole di distanziamento?

«Ci troviamo in un mondo nuovo, impaurito e arrabbiato. Ma proprio il cinema ci insegna che la crisi è indispensabile per la trasformazione dell’eroe. In questo momento, ci sono diverse sfide e tante opportunità che, se non vengono colte in tempo, potrebbero invece far accrescere il disagio. Io credo che ci sia molta voglia di rivederci, di riprendere la caratteristica gregaria del nostro essere. In particolare noi calabresi abbiamo bisogno della vicinanza e dell’incontro fisico. È il motivo per cui vogliamo organizzare la prossima edizione del festival questo agosto, perché questo contesto ci spinge ad agire secondo quello che crediamo sia il nostro ruolo sul territorio. Proprio in questi momenti dobbiamo salvaguardare la Cultura e la voglia/necessità di stare insieme».

E veniamo al binomio che guida questo ciclo di interviste: Cibo&Arte quest’ultima declinata nella sua accezione più varia… Nel suo caso Cibo & Cinema che connubio è?

«Il cibo come elemento narrativo del cinema mi ha sempre affascinato. È in grado di raccontare usanze e mondi diversi, ma anche i caratteri delle persone. Penso spesso a De Niro in Toro Scatenato. La moglie gli porta una bistecca mezza bruciata e lui scatta, lanciando il piatto e dimostrando la violenza con cui Jake LaMotta si comporterà per tutta la sua vita».

Lei è calabro-venezuelano e alcuni anni fa ha deciso di tornare in Calabria: la terra dei nonni. Partiamo da qua per costruire un itinerario multietnico di gusti e visioni. Iniziamo con immaginare un antipasto che ci introduca in questo itinerario; un antipasto di sapori magari guardando una pellicola…

«Faccio la premessa che crescendo a Caracas in una famiglia di calabresi, mi viene naturale pensare alle due cucine come parte di me. Ma il Venezuela, che era una terra di migranti, ha messo nella nostra dieta quotidiana piatti di tradizione indigena, sapori arrivati dall’Africa, e ricette portoghesi e spagnole. Come antipasto proporrei qualcosa di molto amanteano: rosamarina piccante. Questo piatto lo abbiamo legato al festival perché ogni anno organizziamo un antipasto calabrese per tutti i registi, i volontari, la giuria e i tecnici, e un modo per fare assaggiare i nostri sapori. Con questa esperienza riusciamo a far vivere quello che per noi è la Calabria, come tanti l’hanno conosciuta attraverso i documentari di Vittorio De Seta nella nostra terra, in particolare lo spettacolare Lu tempu di li pisci spata, che mostra senza banalità e con molto realismo, la vita dei pescatori di Bagnara e Scilla».

Cosa sceglierebbe come primo piatto?

«La pasta col sugo di Nonna Saveria. Senza dimenticare il peperoncino cresciuto nel suo giardino. Sono legato a quel sugo perché è buono ma anche per un valore affettivo. Mi ricorda la mia infanzia, quando andavo a trovare i nonni dall’altra parte della città ed era come tornare ad Amantea, dove tutti (zii, cuginetti e amici di famiglia) parlavano un misto di dialetto mantuoto con caraqueño».

E per secondo?

«Pabellón Criollo, il piatto nazionale del Venezuela: carne bollita sfilacciata, riso, fagioli neri e platano fritto. In giro si racconta che dovrebbe rappresentare il popolo venezuelano: i fagioli indicano i neri, il riso invece i bianchi europei e il platano gli indios. È un piatto che mischia il dolce e il salato, molto popolare».

C’è un dolce di cui non si può fare a meno?

«Il tiramisù di mia cugina Carmelina o un bel fico col cioccolato. Ma ora che inizia l’estate un bel gelato alla nutella o al pistacchio, non dovrebbe mancare mai. Pensi che la prima cosa che ho fatto, appena sono riuscito ad uscire, è stata quella di andare a prendermi una brioche gelato con la panna».

Con quali bevande accompagnerebbe questo pranzo o questa cena da condividere rispettando le regole in questa Fase 2 della pandemia?

«Ovviamente con un bel jugo’e mango ovvero succo di mango bello fresco».

E se, invece, dovesse scegliere una canzone?

«Anche qui devo dividermi tra i miei due mondi: Guardia ’82 di Darione (Dario Brunori n.d.r.) che mi ricorda le mie estati ad Amantea e una bella tonada di Simón Díaz, come Luna de Margarita».

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