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COSENZA – «È da anni che svolgo tirocini negli istituti culturali calabresi con un unico obiettivo: avere un contratto definitivo», dice Anna (nome di fantasia). Al pari di Marco (quello riportato è sempre un nome di fantasia) – che racconta la sua esperienza in Calabria e più in particolare in un Archivio di Stato del territorio, tra «partite Iva “obbligate” e mai contratti stabili» – la giovane lavora nel settore della cultura che da tempo immemore ormai deve fare i conti con una precarizzazione divenuta ordinaria.
«Quando lavoravo nell’Istituto calabrese – precisa Marco -, mi sono occupato soltanto di valorizzazione e sala studio. Nessuno teneva in considerazione né la mia preparazione né il mio ruolo. Così – aggiunge – mi sono trasferito in un’altra regione, pensando che potesse andare meglio. Ma ho sempre un contratto a termine».
Contratti occasionali, dunque, paghe da fame e, come si diceva, Partite Iva “coatte” e che, cioè, mascherano il lavoro dipendente. Sono questi gli “scogli” insormontabili di chi, in tutta Italia e in Calabria, presta servizio nella maggior parte dei musei, degli archivi, delle biblioteche pubbliche.
«Il sistema, anche in questa regione – commenta Rosanna Carrieri, referente dell’associazione nazionale a tutela di chi opera in tali realtà culturali, “Mi riconosci?”, nonché storica dell’arte -, viene retto così: nella maggior parte dei casi si assiste all’esternalizzazione di servizi cosiddetti aggiuntivi (dall’accoglienza, per esempio, al settore educativo), che in realtà sono essenziali, e in tutti questi casi il lavoratore non viene retribuito secondo i contratti di categoria targati Federcultura. Dall’ultima indagine della nostra associazione – continua Carrieri -, è emerso che nelle strutture statali del Paese questo tipo di lavoratore – si tratta di oltre il 70% – percepisce 8 euro all’ora. Tutto ciò non è dignitoso: stiamo parlando di persone formate, specializzate e spesso non di ragazzini, ma di gente che deve provvedere al fabbisogno di un’intera famiglia».
Una situazione da brividi. «Il problema non sono solo le forme contrattuali che ci vengono propinate – dice la storica dell’arte -, ma anche e soprattutto il fatto che non si assuma (non ci sono concorsi, l’ultimo dopo anni e anni a dicembre scorso) e dunque si scambi il lavoro per volontariato, coinvolgendo i tirocinanti universitari, quelli post laurea, quelli del Servizio civile. In Calabria – prosegue Carrieri – neanche un anno fa, a giugno 2022, è stato sottoscritto un accordo tra la Direzione Generale Musei della Calabria e “Promozione Italia” per mettere al lavoro 250 volontari del Servizio civile negli istituti culturali del territorio gestiti dallo Stato: è indecente usare il volontariato per sostituire posizioni che meritano una regolare retribuzione».
Pertanto, a fronte di quanto accade, la richiesta dell’associazione “Mi riconosci?” non è esclusivamente una. «Vorremmo – dice ancora Rosanna Carrieri – che si ri-rindesse pubblico il settore culturale, che si bandissero con regolarità i concorsi, ma soprattutto, tra le varie cose, che venissero applicati i contratti di categoria di riferimento. Non vogliamo essere invisibili».
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