I manifestanti sul palco del Teatro Rendano
2 minuti per la letturaCOSENZA – Nei giorni scorsi la rete composta da “Approdi. Lavoratrici e lavoratori della cultura e dello spettacolo della Calabria” ha occupato simbolicamente lo storico Teatro Rendano di Cosenza per denunciare l’assenza di prospettive per il settore della cultura, acuita – a livello regionale e nazionale – dalle chiusure legate alle restrizioni per il contenimento della pandemia da Covid-19.
«Dopo un anno di incontri, di riflessioni e mobilitazioni dal basso – hanno spiegato i promotori dell’iniziativa – crediamo sia arrivato il momento di ritrovarsi fisicamente per prendere nuovamente la parola. In risonanza profonda con le lotte che hanno unito le lavoratrici e i lavoratori del settore in tutta Europa, vogliamo proseguire un già ricco percorso di confronto e autodeterminazione, che ci porti ad ottenere diritti e tutele per tutti. Siamo convinti che un teatro debba essere prima di tutto una casa comune, un presidio territoriale, un’agorà cittadina».
«Da troppo tempo ormai – si legge in una nota del collettivo – il Teatro Rendano, come gli altri teatri, le biblioteche e gli spazi pubblici della cultura e dell’arte nella nostra città, al di là della contingente crisi pandemica, sembrano aver smesso di assolvere a questa funzione. Abbiamo deciso di restituirgliela».
Quindi «è arrivato il momento di creare un sistema che sia in grado di dare luogo a una reale redistribuzione delle risorse, e che dia una continuità di reddito per tutte e tutti, precari, intermittenti, autonomi, al nero, del nostro settore e di tutti gli altri».
In sostanza «vogliamo restituire alla cultura il suo spazio fecondo: la sua funzione di stimolo del pensiero critico, la sua capacità di interpretazione del tempo presente, il suo senso di connessione e cura della comunità. Vogliamo che si fondi su una ricerca slegata dal profitto e dal tempo senza respiro dell’efficienza produttiva. Vogliamo che sia accessibile a tutti».
«Oggi siamo qui – hanno concluso – per dire che non vogliamo che tutto torni a com’era prima della pandemia, a un sistema fatto di precarietà, sfruttamento e insicurezza, lo diciamo ancora una volta: la normalità era il problema! Da questo teatro, che è un simbolo spudorato della trascuratezza e della miopia del potere, oggi prendiamo la parola e ci mettiamo in ascolto, perseguiamo la contaminazione delle lotte e invitiamo la città a farlo con noi, per costruire un discorso collettivo che possa dare spazio a tutti».
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