La premiazione finale del Premio Sila
3 minuti per la letturaCOSENZA – I bronzetti realizzati da Mimmo Paladino vengono consegnati, davanti alla folta ma ben distanziata platea dell’Arenella, ai vincitori della nona edizione del Premio Sila ’49. Sono Jonathan Bazzi (sezione letteratura), Stefano Mancuso (sezione economia e società) e Anna Bonaiuto (premio alla carriera) ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento e, dunque, a presenziare (ieri pomeriggio, ndc) alla cerimonia conclusiva della storica manifestazione, condotta da Ritanna Armeni e organizzata, appunto, nel pieno rispetto della normativa anti-Covid.
Se giovedì pomeriggio il pubblico del Sila ha dunque avuto modo di assistere alla meravigliosa lectio magistralis dell’attrice cinematografica e teatrale Anna Bonaiuto e, nelle ore successive, all’altrettanto bell’incontro con Stefano Mancuso, autore de La nazione delle piante (Laterza, 2019), l’appuntamento finale dell’evento prende avvio con Jonathan Bazzi. Classe 1985, lo scrittore di Febbre (Fandango, 2019) ha, sin dalle prime ore del mattino, rassicurato i lettori calabresi più fedeli (non a caso partecipano all’incontro moltissimi giovani), preannunciando e documentando il suo arrivo in città attraverso numerose Instagram stories: colazione in aeroporto a Milano, mare cristallino dal finestrino dell’aereo, atterraggio a Lamezia. Ed eccoci qui. È davanti al fiume Crati e alle palazzine popolari, ai muri senza intonaco su cui campeggia la scritta «Cosenza Vecchia resiste», che Bazzi ringrazia e prende in mano la penna per gli innumerevoli autografi che i giovani presenti gli chiedono (Sono felicissimo che Febbre faccia breccia nei ragazzi, non era per niente scontato considerato che uno dei suoi temi è, almeno così si suol dire, quello “respingente” dell’Hiv», dice).
Poi l’autore parla della sua opera prima, una narrazione che i giurati del Premio hanno già definito come emblema di «uno spazio di lotta, la periferia di Milano; un tempo di fatica, l’infanzia; una situazione di sofferenza, la malattia (…); nel segno di una scrittura che di tante difficoltà ha saputo fare tesoro».
Proprio a Bazzi, in particolare, si fa notare come il suo volume sposi bene gli ideali, di impegno sociale principalmente, sottesi al Premio che ha vinto. «Febbre – spiega lo scrittore – non è in realtà nato con questo intento programmatico, per la sola ragione che amo pensare che la letteratura sia libera; tuttavia, raccontando la mia storia e la mia esperienza, o semplicemente certe atmosfere, certi luoghi o relazioni, mi sono trovato di fronte a temi che hanno rilevanza a tratti politica e quindi sì, può darsi che io abbia toccato dei nervi sociali. Ciò – prosegue – vale soprattutto per la già citata sieropositività, di cui in questo Paese non si parla con l’intelligenza e la razionalità che si dovrebbero usare, e ancora per le periferie.
Nel libro, infatti, c’è Rozzano, il posto dove sono cresciuto, le case popolari e la subcultura che vi stanno intorno. Infine, ad emergere nella narrazione è il tema della violenza assistita, quella che i bambini non sperimentano direttamente sulla propria pelle, ma vedono compiere su persone affettive di riferimento, subendo così un vero e proprio trauma». Agli amici del Premio Sila, qualora glielo chiedano, Bazzi, non tirandosi indietro, annuncia: «Sto lavorando al mio secondo libro, l’ho iniziato alla fine del 2019 e adesso sono quasi in dirittura d’arrivo; uscirà a gennaio 2022».
Con le sue parole, pertanto, cala il sipario sul Premio Sila ’49, che conta Enzo Paolini nella veste di presidente della Fondazione Sila e Gemma Cestari in quella di direttrice del premio stesso. Il consueto manifesto che fa da sfondo all’evento, stavolta, è invece firmato da Fabio Inverni.
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