Franz Cerami al lavoro sui primi scatti fatti a Corigliano Rossano
6 minuti per la letturaLa memoria condivisa e il “lenzuolo” diviene unione nella comunità. Franz Cerami a Corigliano Rossano con il suo Limen Portraits
Coraggio. Questa è una parola che ricorre spesso nella conversazione con Franz Cerami, artista di fama internazionale che sta lavorando in progetti a Roma, San Paolo del Brasile, Yerevan e Cuba oltre che a Corigliano Rossano. Il coraggio di scrivere il proprio presente e il proprio futuro e non di riscrivere la storia, come direbbe qualcuno che usa l’identità come una matita spuntata perché non ha argomenti e preferisce rimanere imprigionato nella nostalgia piuttosto che alzare lo sguardo. Limen Portraits è il nome del progetto di narrazione artistica che Franz Cerami, artista di fama, conosciuto nel mondo, Ambasciatore italiano del design, visual artist e docente di Retorica e Storytelling Digitale presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, sta realizzando per il comune di Corigliano Rossano.
Con il progetto Limen Portraits – nato da un un laboratorio di retorica e digital storytelling nel 2018 – Cerami intende raccontare la città attraverso i volti dei suoi abitanti sviluppando il loro rapporto con l’ambiente urbano. L’idea è di ritrarre la storia dell’identità sia individuale che collettiva attraverso la rappresentazione dell’arte.
«Non è facile e scontato scegliere un’artista contemporaneo per costruire una visione, una narrazione di quello che è un soggetto nuovo come il comune di Corigliano Rossano – afferma Cerami – cosa che non vuol dire cancellare il passato, ma qualcosa di molto più importante. A questo proposito mi viene in mente una frase di Danilo Dolce che dice: Si cresce solo se si sogna».
La citazione del grande intellettuale siciliano me ne riportano alla memoria altre sempre sue come Se l’occhio non si esercita, non vede, se la pelle non tocca, non sa, se l’uomo non immagina, si spegne.
Mi vengono in mente mentre beviamo due spritz da un amico che è un’artista del dolce in tutte le sue declinazioni e un membro di queste realtà – Corigliano e Rossano – che si sono unite, perché non va mai dimenticato che queste sono comunità di donne, uomini, storie che si sono messe insieme senza annullarsi e senza la volontà di annullarsi, ma con il coraggio di provare a costruire una strada nuova senza andare nel vicolo cieco della tradizione a tutti i costi. Spesso il volere ripercorrere esclusivamente la strada che porta alla bellezza di un passato, che in quanto tale non è più nell’ora e nel presente, è solo il modo per coprire la paura del vuoto che è il futuro. Ci vuole coraggio per camminare in avanti, verso il nuovo che è frutto di quel passato, ma un frutto che ha attraversato le lame impietose dello spazio e del tempo, e quindi diverso. Un frutto che va raccontato senza il pregiudizio del rimpianto di una tradizione usa e getta.
Com’è stato l’impatto con Corigliano Rossano?
«Corigliano Rossano è le Calabrie, declinate al plurale, e questa Calabria è una Calabria molto aperta, con una grande voglia di futuro e lo vedi nelle persone, nella disponibilità enorme a raccontarsi, a farsi ritrarre, lo vedi nel modo con cui le persone si si esprimono. Oggi eravamo a Schiavonea, ringrazio molto il lavoro e l’aiuto di Mario Martinotti qui sul territorio, e c’era questa signora che avrà avuto ottant’anni e mi raccontava con un entusiasmo incredibile che secondo lei era importante e necessario costruire una scuola di disegno, un’università della pittura a Schiavonea perché bisognava progettare il Sud. Mi sono emozionato. Ci sono delle cose che molti non vedono, sia per le faccende burocratiche ma anche perché dentro si portano fratture, litigi, divisioni del passato, ma c’è un grande desiderio di costruire una nuova comunità, quindi un desiderio di guardare al futuro ora. Amo questa cosa, è una cosa non piccola, non banale. Una cosa che diciamo implica un grande sforzo di mediazione, un grande desiderio di futuro, di ripensarsi e il mio progetto nasce da questo desiderio e dalla leggenda del “lenzuolo del Patire” che divideva le due città, come mi ha raccontato il vicesindaco Maria Salimbeni. Una storia bella e emblematica, molto forte, che poteva essere proprio, diciamo una, la storia con cui declinare sia l’installazione sull’identità di Corigliano-Rossano che sull’identità di una nuova comunità, così è nato Limen Portraits, declinato per la città, che sarà composto da tanti ritratti della comunità di Corigliano Rossano stampati su 100 lenzuola e poi appese a balconi del comune, poi ci sarà anche un’installazione, una grande selezione di video mapping che sarà proiettata sulla Torre del Cupo a Schiavonea».
Qual è stato il modus operandi per questo progetto?
«Il modus operandi per raccontare le comunità, che mi è sembrato perfetto per raccontare questa comunità, è stato partire dalle persone. Sono tutte queste persone che hanno un bar, hanno un peschereccio, raccolgono olive o lavorano in uno studio dentistico. Sono pezzi di una comunità e metterli insieme può sembrare apparentemente un gioco innocuo, in realtà è un gioco molto forte, come molto forte è stata la scelta di essere stata messa insieme su un piano amministrativo. I pezzi di tante comunità si portano dietro e insieme un potere evocativo forte che deve imparare a convivere, il che non vuole dire annullarsi. Questa però è un’operazione, il sogno di cui parlavamo, che è già vivo nei bambini, che sono la prima generazione che si sente fortemente coriglianese-rossanese».
Io condivido con te l’idea che l’identità non sia fissa, data ed immutabile, ma in realtà un percorso che noi costruiamo ogni giorno tramite delle scelte. Mi chiedo cosa pensi delle radici di una comunità invece.
«Io credo nella memoria, la memoria si sceglie, io ho tante memorie e poi scelgo quale memoria mi vuole rappresentare di più. Le comunità possono scegliere la loro. Possono decidere se la memoria che li rappresenta è la memoria divisiva o deve essere invece una teoria unificante. Sono scelte. Questa comunità è interessante perché ha scelto di fare un percorso di vita insieme, superando divisioni e asti profondi che attingono o nascono anche da problemi economici. Alla fine siamo sempre alla questione della narrazione a come decidiamo di raccontare noi stessi ed è una scelta».
Ci lasciamo fra tantissime altre divagazioni compresa quella su Baumann, l’identità si costruisce e non è dentro di noi. Mentre ci salutiamo mi viene in mente una frase del portoghese Jose Saramago: Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Forse possiamo ancora camminare.
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