5 minuti per la lettura
COSENZA – Il 20 e il 21 dicembre torna a riunirsi la Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici d’Italia nel mondo, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del presidente del Consiglio Mario Draghi. Si riuniranno a Roma circa 100 capi delle missioni diplomatiche dell’Italia nel mondo per discutere, tra i vari temi, dell’evoluzione degli assetti geopolitici nel mondo dopo la pandemia e del ruolo della Farnesina.
Alla vigilia della Conferenza, abbiamo intervistato l’ambasciatrice Vincenza Lomonaco. Calabrese di origine – è nata a Praia a Mare – ha iniziato la carriera diplomatica nel 1982. Dal 2018 è rappresentante permanente d’Italia presso le Nazioni Unite a Roma.
Qual è il suo rapporto con la Calabria, con le sue radici? Cosa ha portato con sé della sua terra in questi anni?
«Anzitutto grazie per questa opportunità di parlare dei miei luoghi del cuore, non capita poi così spesso. La risposta è facile: ho portato tutto con me. Vede, io credo che si possa andare lontano quando si ha ben chiaro dentro di sé il punto di partenza. Radici solide consentono di misurarsi con il mondo con serenità».
La Calabria è terra di fragilità, ritardi, emergenze. Ma soffre anche una “cattiva narrazione”: prevale troppo spesso lo stereotipo. Le è capitato in questi anni di avvertire o di imbattersi nei pregiudizi sulla sua terra?
«Mi sono imbattuta in stereotipi alle volte, più che in pregiudizi. Ma i luoghi comuni esistono su tutto, anche in positivo. Credo si combattano soprattutto con i comportamenti individuali: quando ciascuno di noi “fa la sua parte” emerge la nostra specificità e non resta spazio per giudizi preconcetti».
Esiste una Calabria ‘fisica’ ma, potremmo dire, esiste anche un’altra Calabria fatta da tanti corregionali che si sono trasferiti o che sono figli di emigrati. Sono tanti e spesso protagonisti di storie di successo. Lei è senz’altro una storia calabrese di successo. Le è capitato nel corso della sua lunga carriera di scoprirne altre?
«Ci sono Comuni in Calabria – e non solo – che hanno più cittadini iscritti all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) che nell’anagrafe della popolazione residente! Sono stata Console a Montreal, in Canada, e conosco personalmente tante storie di calabresi divenuti illustri all’estero… Eppure penso che la straordinarietà vada cercata nelle vicende delle persone comuni: in quelle vite che non si fanno notare per il successo raggiunto, ma che hanno portato fuori dai confini italiani l’etica del lavoro, la serietà, lo spirito di sacrificio, l’immaginazione e la capacità di rischiare. Queste persone sono un vanto per la Calabria e per l’Italia».
La carriera diplomatica era il suo obiettivo già all’Università?
«A dire il vero, no. Ero convinta che l’Università e la ricerca sarebbero state la mia strada, ma poi è successo ed è stato magnifico. Adesso quando ci ripenso ricordo solo tanto – anzi no, tantissimo! – studio e un impegno enorme».
Ai ragazzi che vogliono intraprendere la carriera diplomatica che consiglio darebbe?
«Sognate in grande e immaginate l’onore e la soddisfazione che si provano nel rappresentare il proprio Paese all’estero».
Ha iniziato la carriera diplomatica nell’82, ricoprendo numerosi ruoli. A quale esperienza è particolarmente legata?
«Questa è una domanda difficilissima! Ho amato ogni esperienza fatta e ciascun incarico ha coinciso con momenti irripetibili della mia vita, che hanno arricchito sia la mia vita professionale che privata. Non credo si possa fare una graduatoria, però ricordo ancora con grande emozione la mia elezione a presidente dalla Commissione Cultura, quando ero Ambasciatore presso Unesco a Parigi. Un incarico che ha significato molto per me dato che l’Italia è il Paese che vanta un patrimonio culturale senza eguali».
Com’è cambiata la diplomazia negli ultimi quarant’anni?
«Il nostro mestiere si è evoluto con l’evolversi del mondo in cui viviamo. È mutato il quadro internazionale, ma sono mutati anche i mezzi di comunicazione e il nostro lavoro si è innovato e rinnovato, in alcuni casi precorrendo i tempi. Gli Ambasciatori oggi operano con modalità nuove rispetto al passato per garantire gli obiettivi di sempre: difendere e promuovere gli interessi dell’Italia all’estero».
La sua attività si sta concentrando soprattutto su un tema, centrale per il futuro del pianeta: la gestione delle risorse. Tanto in termini di sostenibilità, quanto di lotta alla fame nel mondo. Avverte oggi una maggiore consapevolezza rispetto a questi temi?
«Il concetto di sicurezza alimentare è molto cambiato. Si è evoluto divenendo uno dei temi principali dell’agenda delle Nazioni Unite. Oggi è in cima alle preoccupazioni degli Stati al pari del cambiamento climatico. Per anni il problema è stato affrontato solo in termini di lotta alla fame, ma oggi sappiamo che dobbiamo puntare allo sviluppo sostenibile dei sistemi alimentari. Sul piano internazionale l’Italia è uno dei principali protagonisti di questo impegno, come abbiamo dimostrato durante la presidenza italiana del G20 appena conclusasi, e in occasione del pre vertice Onu sui Sistemi Alimentari, che abbiamo organizzato lo scorso luglio a Roma insieme alla Fao. Il lavoro multilaterale, inclusivo e rispettoso delle diversità, è l’unica via possibile per il cambiamento. Il percorso è ancora lungo, ma il nostro Paese è sulla strada giusta».
Lunedì e martedì si riunisce la Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici d’Italia nel mondo. Quali sono i principali temi in agenda?
«La Conferenza è un appuntamento tradizionale, importantissimo per scambiare opinioni e fare il punto sulle sfide che ci attendono. Quest’anno l’agenda è mutuata dai concetti chiave della Presidenza italiana del G20: Persone, Pianeta, Prosperità. Discuteremo essenzialmente del ruolo della Farnesina a sostegno della ripresa economica e degli obiettivi che l’Italia è impegnata a perseguire».
“Cibo è cultura”, lei scrive nel messaggio che compare sulla pagina della rappresentanza permanente d’Italia all’Onu. Per tornare alle sue radici, c’è un cibo, un piatto calabrese al quale è particolarmente legata?
«Confesso che per me il peperoncino non deve mai mancare a tavola. Vede, le diversità vanno difese perché sono il portato di culture diverse, e di saperi antichi che devono convivere con l’innovazione. L’esempio più eclatante di incontro tra tradizione e scienza è la dieta mediterranea, che si basa su alimenti che oggi sappiamo essere ricchissimi di vitamine e nutrienti, ma che le nostre famiglie usano da generazioni con semplicità. L’Italia vanta una delle primissime filiere agro-alimentari al mondo e parte del nostro lavoro è sostenerla all’estero e nei fori multilaterali. A gennaio organizzeremo con la Fao un evento dedicato al pomodoro, ma ne sto già pianificando uno sul peperoncino…».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA