Peppino Dodaro
3 minuti per la letturaÈ venuto a mancare ieri, all’età di 80 anni, l’imprenditore Giuseppe Dodaro, più conosciuto come Peppino. I funerali saranno celebrati oggi, alle 18,30, nella chiesa della Parrocchia Santa Famiglia ad Andreotta di Castrolibero
AVEVA un sorriso dolce Peppino Dodaro e il bisogno di raccontare, fin nei minimi particolari, tutti gli accadimenti della sua vita. Gli piaceva, intimamente, rendere gli altri partecipi di eventi ed emozioni che lo avevano attraversato, accompagnando e dando forza, attraverso la mimica facciale, ai suoi racconti. E così riusciva ad arrivare dritto al cuore, a trasmettere prima con il corpo e poi con le parole, ricordi che diventavano improvvisamente presente.
Sarà difficile ed ancora inimmaginabile pensare che non sia più tra noi, non sentirlo parlare di suo fratello Mario, della sua infanzia nella casa di Muoio Grande e dei giorni passati nella macelleria di zio Cicciotto ad imparare il mestiere di macellaio. Lui, che fin da piccolo imitava i più grandi della famiglia, fatta eccezione per il calcio, per cui non sentiva il naturale trasporto dei suoi fratelli, e altre passioni di gioventù che, però, era sempre pronto a riconoscere e a valorizzare se queste avevano segnato, in qualche modo, i suoi affetti più cari.
Era un uomo diretto e spontaneo Peppino, che si offriva sempre senza filtri. E la sua famiglia, in tutti i suoi racconti, rivestiva un ruolo fondamentale sia nelle scelte fatte, che nei progetti, tanti, che avrebbe voluto ancora realizzare. Nonostante l’apparente sicurezza, mal celava quell’intima timidezza che si impadroniva di lui quando approdava sul terreno delle emozioni.
Un naturale pudore gli impediva di varcare il confine che lui stesso aveva tracciato, tra racconti di vita vissuta e sentimenti. Di suo fratello Mario, che lo aveva voluto a tutti i costi accanto a sé nella sua avventura imprenditoriale e che lo costrinse, quasi, con la promessa di un supermercato tutto suo, a lasciare il Canada dove era emigrato per lavorare nelle celle frigorifere a temperature insopportabili, raccontava per filo e per segno, quasi con metodo scientifico, tutti i passaggi salienti della sua vita, fino all’ultimo, quello della sua tragica fine per mano mafiosa, senza battere ciglio.
Ma guai a chiedergli cosa gli aveva attraversato la mente e il cuore dopo aver appreso della scomparsa di Mario con il quale aveva condiviso, da piccolo, le notti passate su una brandina nel corridoio della casa di zio Cicciotto, l’uno stretto all’altro, per non sentire il freddo pungente dell’inverno. La fragilità, il sentimento e il dolore, Peppino, li teneva ben stretti, li custodiva quasi, mettendoli al riparo persino da sé stesso. Ma i suoi sogni no, quelli li offriva con la leggerezza di chi crede che basta volerlo e tutto si può realizzare.
Amava profondamente il suo lavoro Peppino, e invogliava tutti a porre la giusta attenzione verso le tradizioni della nostra terra. Quando nel 2007 sua figlia Francesca scrisse il libro “Sua maestà il porco” con la prefazione di Ottavio Cavalcanti, lui mise al suo servizio tutta l’esperienza che aveva maturato negli anni, e quel testo, fortemente incoraggiato, diventò una medaglia di cui andare fieri. In quel periodo, lo si incontrava spesso in redazione con il volume in mano, cercando di ottenere da tutti la giusta attenzione per quel lavoro che raccontava di tradizioni antiche, di fatica gioiosa e di prelibatezze che sapevano di casa e di famiglie riunite attorno a una tavola in un giorno di festa. E lui, con la tenacia e l’entusiasmo che lo contraddistinguevano, riuscì a far arrivare quel pezzo di Calabria nei luoghi più remoti del mondo.
Peppino, “Zio Peppino”, tagliava a mano con sapienza i prosciutti durante le ricorrenze nella sala riunioni del Quotidiano, perdendosi quasi, nella descrizione delle proprietà organolettiche del prodotto e creando nei presenti un’attesa spasmodica. Amava le feste, sentirsi circondato da persone accoglienti, familiari, e non perdeva occasione per mettere in mostra tutta la sua abilità in materia di barbecue.
Era una bella persona Peppino Dodaro. E non solo per sua moglie Anna, per i figli Francesca, Massimiliano, Cristian e tutti i suoi familiari. Lo era per tutti coloro che hanno incrociato la sua vita e condiviso con lui, seppur per un attimo, parole ed emozioni.
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