Mario Dodaro
3 minuti per la letturaHo avuto una grande fortuna. I miei editori, Antonella e Francesco Dodaro, sono persone per bene e non hanno mai interferito nel mio lavoro, il giornale lo hanno sempre letto il giorno dopo. D’altro canto, non sarebbe stato possibile il contrario perché ci saremmo salutati all’istante. Tra tante difficoltà imprenditoriali, con me hanno onorato il patto iniziale di assoluta autonomia.
Un incontro pubblico a Castrolibero per ripercorrere la storia di Mario Dodaro
La foto del loro papà – il sorriso di un uomo buono e onesto – mi è diventata familiare, e ho sempre pensato che nella loro attività ci sia stato e ci sia il valore aggiunto di una tragedia, l’assassinio del loro genitore, e della giustizia negata. Per sapere come vanno le cose in Calabria, non ho avuto bisogno di andare molto lontano».
Sono andato a rileggere l’editoriale con il quale, il 13 aprile 2014, mi accomiatai dal “Quotidiano della Calabria” sollecitato dal fatto che domenica prossima saranno quarant’anni da quando Mario Dodaro fu ucciso davanti casa. Chi lo ammazzò l’ha fatta franca e solo pochi giorni fa la figlia Antonella ha potuto scrivere che andava a dormire serena perché finalmente almeno una verità era stata riconosciuta: il papà è stato “una vittima della malavita organizzata”. Sinceramente un po’ poco anche perché dal comune sentire che ho potuto avvertire nei miei sette anni vissuti in Calabria questa era una verità acclarata benché i familiari aspettino ancora di sapere chi furono gli assassini.
Ma nell’attesa non sono stati inerti perché in un altro modo, pubblico e privato, hanno trasformato il bisogno di giustizia in un impegno civile e imprenditoriale. E per la mia parte, ma mi sento di parlare anche per il primo direttore Pantaleone Sergi, per il mio predecessore Ennio Simeone e per il mio successore Rocco Valenti, so che questo giornale è libero e pulito.
Antonella e Francesco Dodaro possono stare certi che il loro papà sarebbe fiero di loro e dell’impresa editoriale che, faticosamente e tra mille difficoltà e in un settore attraversato da una profonda crisi, tengono in piedi da tanti anni consentendo ai giornalisti di raccontare la loro terra di struggente bellezza e di amare contraddizioni in piena libertà. Alle loro spalle c’è una famiglia consapevole della necessità di sostenere questo impegno, in particolare la madre che fino all’ultimo ha coniugato il dolore mai sopito per la perdita del marito e la cura dei figli da proteggere.
Non vivendo in Calabria spesso mi trovo a dover rispondere a domande condite di luoghi comuni su questa regione e sui calabresi. E per quanto cerchi di far capire che è sbagliato generalizzare, che non ci sono solo la ’ndrangheta e la malapolitica, la sanità che non funziona, il lavoro che manca, i trasporti da ripensare, mi rendo conto che i pregiudizi sono duri a morire e che i primi che dovrebbero cancellarli sono proprio i calabresi con l’azione, l’iniziativa, i comportamenti, l’amore per la loro terra. Anche in questo modo si rende “giustizia” a Mario Dodaro e alle tante vittime innocenti di questa “nostra” Calabria.
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