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Gli universitari dell’Unical a Palermo con Borsellino nel 2014

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All’Unical si educa all’antimafia: l’esperienza pedagogica del professor Giancarlo Costabile come «radicale opera di alfabetizzazione popolare»


NELLA complessa, lunga e spesso drammatica lotta alle mafie, sulla quale priorità la gran parte degli italiani, almeno in via di principio, converge, non tutto risulta essere sempre concreto e chiaro come sembra. La cruciale distinzione tra “antimafia reale” e “antimafia apparente” infatti, trova esaustiva e approfondita accoglienza in una valida letteratura che vede studiosi, scrittori, giornalisti e magistrati, anche supportati da specifiche attività investigative, rappresentare e tentare di risolvere l’ossimorica e dannosa evidenza in questione.

Da Nando Dalla Chiesa a Francesco Forgione, da Gian Carlo Caselli ad Attilio Bolzoni, da Antonio Nicaso a Nicola Gratteri, solo per citarne alcuni, sono diversi gli autori che negli ultimi decenni hanno affrontato il problema e messo in guardia gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica da quella retorica della lotta alle mafie che offusca il sacrificio di chi davvero combatte in prima linea, purtroppo anche a prezzo della propria vita.

Esiste, insomma, un’antimafia di facciata, farlocca, spesso caratterizzata da gesti simbolici, enfatizzati oltremodo, utili solo per ottenere consenso, visibilità, benefici personali o addirittura improbabili accreditamenti. Il fenomeno è presente e conosciuto oramai da anni e annovera, tra i protagonisti in negativo, politici, organizzazioni, associazioni o singoli individui che non hanno alcun interesse ad impegnarsi concretamente contro il potere mafioso, anzi, non di rado con esso mantengono connivenze più o meno efficacemente nascoste, finendo per minare la fiducia nelle istituzioni e compromettere gli sforzi autentici e faticosi di contrasto alle mafie.

A fare da contraltare alle cruciali distorsioni di cui sopra, tuttavia, esistono realtà fortemente confortanti, che inducono alla fiducia e che elevano anche a rango scientifico la “cultura dell’antimafia”. Come accade per l’esperienza della “Pedagogia dell’Antimafia” che dal 2011 si realizza dinamicamente e virtuosamente all’Università della Calabria, quella, per intenderci, che oggi si classifica, orgogliosamente, al primo posto tra i grandi atenei italiani.
Una specie di “fenomeno accademico” essendo l’unica disciplina con questa caratterizzazione nell’ambito della pedagogia accademica e nei piani di studio dei corsi di laurea in Scienze dell’Educazione e Scienze Pedagogiche del Paese, finendo per diventare un modello di cui è motore instancabile il professore Giancarlo Costabile, 49 anni, ricercatore e docente, appunto, di Pedagogia dell’Antimafia nell’ateneo calabrese, dove si occupa di problemi filosofici ed educativi in prospettiva storica.

Uno studioso di grande valore e rigore scientifico, ma anche uno stoico combattente, che spesso, in quest’Italia del paradosso, ha dovuto superare diffidenze e ostacoli per affermare la validità apodittica dei suoi progetti, mentre invece avrebbe meritato e merita, un più incisivo e concreto sostegno come convinto assertore, testimoniano tantissimi protagonisti autentici della lotta alle mafie, della validità dell’azione preventiva, ma si potrebbe dire di profilassi se consideriamo l’endemica e pervasiva presenza del fenomeno mafioso come un virus pernicioso e persistente della società italiana (in realtà planetaria), della medesima “pedagogia dell’antimafia” da egli fatta assurgere a rilievo accademico.

«Il focus dell’idea – afferma – è la costruzione di una pedagogia trasformativa, sul modello della Scuola di Barbiana e della prassi coscientizzatrice di Paulo Freire, in grado di porsi quale strumento di ri-territorializzazione pedagogica nella direzione di una piena emancipazione civile. Per tali ragioni, particolare attenzione è stata dedicata al contrasto pedagogico alla cultura mafiosa intesa quale filosofia della sudditanza che alimenta una società familistico-clanica, la cui capacità di condizionamento della realtà è destinata ad andare decisamente oltre i confini della sfera di potere propria delle organizzazioni criminali. Pertanto, la pedagogia non può ridursi ad essere, secondo uno schema feudale e premoderno, la precettistica obbedienziale che fabbrica i linguaggi dell’asservimento, abituando il popolo a forme di nuovo servaggio.

Pedagogia dell’Antimafia, quindi nasce per rompere questa grammatica del potere particolarmente diffusa a queste latitudini, rivendicando la funzione politica della pedagogia che, nel solco della tradizione di don Milani, si sostanzia nella promozione dal basso di una radicale opera di alfabetizzazione popolare. Educare all’Antimafia – aggiunge – oggi significa essenzialmente ri-costruire diritti nel quadro di una pedagogia orientata costituzionalmente all’affermazione della giustizia sociale e di nuove responsabilità di cittadinanza»

E il riscontrato valore dell’intervento dell’ateneo cosentino sull’importante funzione formativa lo si comprende anche dal lavoro di ricerca e approfondimento che gli studenti del corso di laurea in Scienze dell’Educazione affrontano anche sui territori ad alta densità mafiosa, attraverso altri ambiti di azione pedagogica utili a trovare ristoro empirico alle analisi teoriche del fenomeno.

«Nell’ambito di questa visione della pedagogia – spiega a riguardo il professor Costabile – si è lavorato su altre due direttrici. Da un lato, sperimentare l’università itinerante – fuori dalle aule del ‘sistema’ e dai condizionamenti di una didattica trasmissiva funzionale all’addestramento pedagogico più che all’autonomia educativa – quale azione educativa di formazione critica e sensibilizzazione verso quelle realtà culturali e sociali (ad esempio, Resistenza Anticamorra Scampia) che nei territori producono anticorpi educativi concreti per contrastare la società dell’indifferenza e dell’inginocchiatoio. Il primo laboratorio nel territorio calabrese risale al 30 novembre 2011, quando 70 studenti di Scienze dell’Educazione visitarono la Valle del Marro, cooperativa fondata dal sacerdote antimafia Don Pino Demasi sui beni confiscati ai boss della Piana di Gioia Tauro.

Dall’altro, costruire una rete formativa critica nelle scuole del Paese con l’obiettivo di attualizzare la proposta didattica di don Milani con la sua scrittura collettiva. Nel 2022 – conclude – nasce il progetto Barbiana 2040, rete nazionale di scuole giuridicamente costituita (la scuola capofila è l’Istituto Lanfranchi di Sorisole a Bergamo n.d.r.), che sta costruendo nelle aule un alfabeto didattico trasformativo. (https://www.barbiana2040.it/)».

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