Studenti sul ponte dell'Unical
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COSENZA – Quanto sono lunghi cinquant’anni? Nella vita di un’istituzione, sono assai brevi. Brevissimi, forse, se si parla di un’università, in un Paese in cui la nascita dei primi atenei risale al Medioevo. Non c’è dubbio allora che la crescita raggiunta nelle sue prime cinque decadi dall’Università della Calabria – che quest’autunno celebra i 50 anni dall’avvio delle sue lezioni – abbia in sé qualcosa di portentoso.
Qui una volta era tutta campagna
Se torniamo a quel settembre del 1972 ad Arcavacata, quello che troveremo è al più un cantiere e lo scheletro dei primi edifici che sarebbero stati realizzati da lì a qualche mese: il Polifunzionale (in particolare l’aula circolare), le Maisonnettes, la mensa, alcuni capannoni. Il resto era tutta campagna. Gli uffici amministrativi e la segreteria studenti, che accolsero le domande di iscrizione delle prime mille aspiranti matricole per 600 posti, erano ospitati in alcuni appartamenti di Palazzo Ferrari e sotto i portici di Palazzo dei Bruzi. Stessa sede per il rettorato.
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Le prime lezioni (si partì con corsi di azzeramento di matematica, l’anno accademico sarebbe stato inaugurato il 15 dicembre) erano ospitate presso l’Inapli e l’istituto industriale “Monaco” di Cosenza. Gli studenti, nei primi mesi, dormivano in albergo – Excelsior, che faceva anche da mensa, Grisaro, Bruni – e le studentesse in istituti religiosi, i docenti vivevano presso l’hotel Europa: la residenzialità, una dei caratteri fondativi dell’Unical, veniva così garantita in attesa del completamento delle Maisonnettes.
Il campus oggi
Spostiamoci di cinquant’anni in avanti. Oggi l’Unical è il campus più grande d’Italia: 200 ettari immersi nel verde che ospitano insieme ad aule e a 120 laboratori, oltre 2.500 posti letto, 5 mense, due teatri, due cinema, due anfiteatri, il sistema bibliotecario più grande del Sud Italia, l’orto botanico e i musei, un Centro sportivo, il Centro sanitario, un incubatore di startup innovative, un Polo tecnologico che si sviluppa intorno a una innovativa sorgente a raggi X. Dai 600 studenti del primo anno siamo oggi a oltre 25mila studenti iscritti. E quel nucleo iniziale di 60 docenti si è esteso fino a contarne oggi più di 800.
L’uomo venuto dal Nord
Sarebbe stato possibile raggiungere questo risultato senza quella ‘forzatura’ che Beniamino Andreatta – primo rettore dell’Unical – fece nel ’72, avviando l’anno accademico senza, nei fatti, l’università fisica? Probabilmente no. L’uomo venuto dal nord (trentino d’origine, bolognese d’adozione) nell’impresa era stato coinvolto solo un anno prima, nell’aprile del 1971. La legge che riconosceva alla Calabria la sua università risaliva ormai già al ’68 e tre anni dopo (era il ’71 appunto) era stata inserita nel cosiddetto “Pacchetto Colombo” e assegnata a Cosenza.
Ma quei tre anni d’attesa, per una regione che aveva collezionato fino a quel momento una lunga sfilza di delusioni, erano quasi un’era geologica. «La strategia che abbiamo cercato di utilizzare è stata quella del fatto compiuto – ricorda Andreatta in un’intervista Rai del ’73 – Credo che senza questa decisione i tempi sarebbero stati scorrevoli come spesso accade nel nostro Paese. E la Calabria, la quale ha avuto molte promesse in questi anni e nessuna delle quali è stata portata, non dico a compimento, ma neppure alla prima fase di inizio, non poteva sull’università attendere».
Le missioni del nuovo ateneo
La nascita dell’Unical consentiva in quegli anni di colmare un ritardo culturale e sociale. Rendeva l’accesso agli studi universitari non più un privilegio riservato ai ceti abbienti – che potevano mantenere i figli fuori – ma una possibilità per tutti. Il risultato si coglieva di lì a pochi anni, con i primi laureati. L’Unical – lo ricordò qualche anno fa in una intervista al Quotidiano il professor Pietro Fantozzi, in occasione del suo pensionamento – consentiva di compiere in una sola generazione il salto dall’analfabetismo alla laurea.
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Ma non era solo una nuova università quella che nasceva nel ’72. Era una università nuova. Andreatta l’aveva immaginata come un campus anglosassone, sul modello di Oxford e di Cambridge. Non solo un ateneo residenziale, ma un ambiente di studio inedito per il nostro Paese con campi sportivi, luoghi di ritrovo, teatri. «A Cosenza – diceva Andreatta – deve sorgere una società veramente nuova di giovani. Una cosa simile in Italia non esiste».
Nasceva quindi con una missione scientifica e formativa l’Unical nel ’72, ma anche sociale e civile, condivisa dai padri fondatori (oltre ad Andreatta citiamo tra gli altri gli economisti Paolo Sylos Labini e Giorgio Gagliani) e da quel manipolo di professori e giovani ricercatori che arrivarono in Calabria da tutta Italia per metter su il primo ateneo calabrese. La scelta stessa degli indirizzi di studio era orientata alla crescita del territorio regionale. Si pensi a ingegneria civile (il primo indirizzo era “difesa del suolo”, pensato per una delle regioni più fragili e vulnerabili del Paese) e a Scienze economiche e sociali, che nasceva per formare, con una impostazione innovativa, la nuova classe dirigente calabrese, sottraendo questa funzione ai tanti corsi di Giurisprudenza d’Italia.
Gli obiettivi – questi ultimi – sono stati centrati? Qui, senza dubbio, il cammino è ancora lungo ma sarebbe ingeneroso assegnare all’Unical la responsabilità esclusiva del percorso. Non è l’ateneo a guidare il turn over degli enti, non sarà mai un ateneo a innescare (da solo) la crescita economica di un territorio. Ma se guardiamo intorno al campus, magari non troviamo le iniziative industriali che aveva immaginato Andreatta, ma scorgiamo di certo una serie di aziende informatiche (qualcuna leader nel settore) nate lì per la vicinanza dell’università. E quindi forse il sogno, o almeno una sua parte, si è già realizzato.
E quindi, buon compleanno Unical: oggi le celebrazioni in ateneo in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico. Sul Quotidiano in edicola invece 3 pagine speciali dedicate all’anniversario, con un’intervista a Giana Petronio Andreatta e i racconti dei primi docenti del ’72, firmati da Fabio Grandinetti ed Enrica Riera.
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