Isaia Sales
2 minuti per la letturaIsaia Sales, docente e scrittore, chi teme la ribellione sociale del Sud?
«Chi è interessato a mantenere gli attuali equilibri politici ed economici del Paese. Oggi l’asse dell’Italia è Roma, Firenze, Milano. Il Sud ribelle, quello che vuole riscattarsi e che si impegna, fa venire meno il paradigma interpretativo dell’arretratezza, vale a dire siamo strutturalmente incapaci di produrre modernità. Quando il Sud si ribella, mette in discussione questa visione parziale della storia e smentisce chi ha costruito tale narrazione in maniera unilaterale».
Siamo stati più vittime o protagonisti del degrado della società meridionale in tutti questi anni?
«A mio avviso, l’uno e l’altro. Ma il problema è capire ciò che c’è prima. Mi spiego: alla base di ogni diseguaglianza, c’è sempre una causa non soggettiva. Interpretare la storia come qualcosa che dipende esclusivamente dalle capacità singole delle persone è totalmente antistorico. I meridionali non sono meglio dei settentrionali, ma i settentrionali non sono meglio dei meridionali. Al Nord hanno avuto circostanze storiche favorevoli che il Sud non ha avuto. Sicuramente il Sud non ha ottenuto dall’Unità d’Italia quei vantaggi che forse si aspettava. Napoli, ad esempio, era tra le tre grandi città europee dell’Ottocento. Oggi è rimasta l’ultima città dell’Ottocento, perché ciò che si è risolto a Londra e Parigi, ovvero l’integrazione del sottoproletariato urbano, a Napoli non è avvenuto per mancanza di opportunità, e non per mancanza di volontà o qualità dei processi sociali. Ricordare che nella storia sono le opportunità a decidere il destino è importante, e noi spesso lo dimentichiamo, commettendo in tal modo un errore di valutazione».
Quali sono le motivazioni giuste per consentire al Sud di voltare pagina?
«Noi siamo andati al di là delle nostre responsabilità storiche. L’attacco al Sud in questi anni, la descrizione del Sud come l’origine di tutti i mali del Paese, ha provocato una reazione al contrario. Il leghismo, con le sue invettive, ha stimolato una riscoperta dell’identità meridionale e delle ragioni storiche dei nostri ritardi. Le condizioni soggettive del cambiamento, a mio avviso, ci sono sempre state e oggi sono probabilmente più forti ed evidenti. Mancano quelle oggettive, come è successo in passato del resto. Insistere ancora sulle condizioni soggettive del ritardo del Sud è antistorico. Bisogna porre l’attenzione sulle condizioni oggettive, perché sono 30/40 anni dalla fine dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno che il Sud è la periferia della politica italiana».
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