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Da sinistra la "Grande bagnante" di Emilio Greco al Museo all'aperto "Bilotti" di Cosenza e la Spigolatrice di Sapri dell’artista Emanuele Stifano

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COSENZA – Ce n’è una “Accoccolata”, posizione quasi fetale, opera di quell’Emilio Greco che firma la Grande Bagnante le cui terga – oltraggio! – vengono sbattute in faccia a due simboli civici di Cosenza: il Municipio e, più in là, il castello svevo; e meno male che è fasciata, figura affusolata e sottile, quasi a-sessualizzata.  

C’è una mamma che abbraccia il figlio ma anche “Le tre sorelle” di Mario Mafai, una Sibilla di Pericle Fazzini e addirittura due Cariatidi: una di Mario Sironi, che affiora dal parallelepipedo di marmo quasi a volersi liberare per una “vasca” davanti alle vetrine del franchising, e la grande testa di Modigliani che inquieta quasi quanto la Medusa di Manzù.

Seriali quanto vuoi, copie e repliche sì, ma come sono belle le donne-arte del Museo all’Aperto di Cosenza. È un inno alla femminilità, la donna in tutte le sue fasi, ma anche alla fluidità del gender (si veda l’efebico “Dormiente” di Arturo Martini). Maschi davvero marginalizzati. Se si vede qualche uomo è il “Cardinale in piedi” di Manzù (quello che i cosentini chiamerebbero “tavulùne”) che sembra una riduzione della celebre e avversatissima statua di Wojtyla ribattezzato Tabacci nel piazzale di Roma Termini; o il San Giorgio di Dalì alle prese col drago, o gli ancor più diafani “Grandi archeologi” col vicino “Metafisico” di De Chirico.

Storia a parte per le natiche dei Bronzi, che al museo di Reggio Calabria raccolgono da sempre le occhiate tra lo stupito e il lussurioso di generazioni e generazioni di espert* o neofit* (si deve scrivere così) come davanti a una coppia di Roberto Bolle di 2mila e 500 anni fa ma qui si stagliano in absentia nei grandi pannelli laminati rossi di Sasha Sosno, apprezzatissimo dai selfie-dipendenti anche per i marmi forati del “Sette di cuori” e delle “Tre colonne” (una fu abbattuta da un muletto della differenziata).

Natiche altrettanto evocative  quelle della Andromaca che abbraccia deferente il suo Ettore nel quale le fruitrici o fit-walker più politicizzate potrebbero vedere un odioso trionfo del patriarcato (lui ha anche una grossa lancia fallica!).

Per il resto è un trionfo femminile, non c’è partita, il maschio al Mab non tocca palla come si dice. E infatti anche le guardiane del pensiero unico non avrebbero gioco, a Cosenza, altro che le chiappe turgide della Spigolatrice di Sapri dell’artista Emanuele Stifano, iconografia quantomeno opinabile come l’omonima poesia di Luigi Mercantini.

Cosenza è una città bigotta e ipocrita (persino la parola culo in questo titolo potrebbe rivelarsi un tabù nel 2021 quasi 2022) ma in fondo eretica dunque mai si potrà brandire e aizzare il politicamente corretto contro monumenti come la ficuzza nel centro storico, per dire (nessun riferimento sessuale, solo un simbolo della vittoria della Natura sul cemento che vede una sua versione moderna in via Minzoni, traversa dell’isola pedonale). Né si potrà buttarla in questioni di rappresentanza di genere se la fontana di Giugno e il Telesio di piazza XV Marzo non rispettano le quote. Nell’arte non funziona con la doppia preferenza.

E però da quando esiste il Mab non solo la donna ha ribaltato i ruoli diventando  protagonista del Bello, ma la fenomenologia stessa della “vasca” (che altrove si chiama struscio) bruzia ha subìto nell’ultimo ventennio un deragliamento proprio grazie alle sculture donate dal magnate eponimo Carlo Bilotti: e non solo per lo zig-zag cui si è costretti come in un grande gioco di società in cui le pedine (le opere d’arte) cambiano ciclicamente collocazione, tanto da suggerire alla free-press InfoNight di pubblicare mensilmente una mappa aggiornata, più che altro una bussola per orientarsi. Sono statue che quasi prendono vita, in movimento atomico: un’attività più febbrile dei movimenti di Totonno ‘a Mmasciata, maschera della politica locale in campagna elettorale permanente.

Per chi lo vuole, spaesamenti a parte, la passeggiata – un tempo officiata in base alla scelta di campo: lato destro o lato sinistro? – è resa oggi imprevedibile da questa teoria di sculture davanti alle quali i turisti si fermano e gli autoctoni scivolano via dopo lo stupore iniziale dovuto all’ennesima nuova posa. È così che, al netto di spostamenti e nuove acquisizioni, Cosenza dà un senso al suo vezzoso auto-soprannome di “Atene della Calabria”, con tutte queste statue più o meno neoclassiche.

Benvenuti nel Mab, esperimento oggettivamente più unico che raro così descritto con tipico approccio da cosentino “vavùso” (da “vava”, ovvero bava prodotta in grandi quantità dal millantatore pieno di sé e di iperboli): “una spianata di opere d’arte a cielo aperto, unica realtà del sud Europa capace di ospitare un museo degno del MOMA”. Laddove per “spianata” non si intende il salume piccante pure amatissimo a queste latitudini — più ancora dell’arte, presso alcuni.

In principio fu l’11 Settembre di Mimmo Rotella, inaugurato dall’allora sindaco Giacomo Mancini in una delle sue ultime uscite pubbliche, in carrozzina nello slargo (già piazza Principe di Piemonte) che rappresentava l’embrione pedonalizzato di un corso ancora percorrobile in auto. Perché il Museo all’aperto Bilotti è, tra le altre cose, un altro di quei meriti di chi c’era prima ma puntualmente cancellati da chi è venuto dopo (viale Parco poi Mancini, Planetario, Ponte di Calatrava etc.).

Oltre che dalla grande Storia e dai piccoli segni locali – le Twin Towers convivono con il Lupo della Sila – il Mab è un museo attraversato carsicamente da messaggi erotici, culi a parte: una quindicina di anni fa, inviato da Panorama per raccontare il fenomeno Evelina (leggi: Catizone, allora sindaco), Pietrangelo Buttafuoco definì “ciuffetti di minchia” i Paracarri di Pietro Consagra allora collocati in una piazza (Fera) che oggi non esiste più neanche nella toponomastica (si chiama appunto Bilotti).

Il Mab fa parte della quotidianità, “ci vediamo alla Medusa”. E il carnevale dei cosentini titilla lazzi da fescennini e atellane quando le suddette statue vengono incellofanate per proteggerle da spray e coriandoli liquidi. È allora che potrete sentire qualcuno rendere la festa ancora più irriverente: “A Cosenza si pratica l’arte sicura”.

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