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Giorgio Gaber

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L’eco degli starnazzi arriva col vento di scirocco da città che si rianimano senza molta creanza, in un pomeriggio rovente come un bengala: è da considerare perciò provvidenziale rivedere per caso in tv Giorgio Gaber, ci fa sentire meno orfani di quegli intelletti, e ragioni e sentimenti che pure hanno abitato la Terra. Questo Polli di allevamento ci trova in perfetta comunione, allora, mai come in questo pezzo della nostra storia, quando si fa sempre più concreto il sospetto che la gran parte di noi ne uscirà con le stesse avarizie e grettezze sotto la mascherina, e una buonissima fetta di umanità con lo stesso, semmai peggiorato, cuore nero.

Il Signor G predice così che in un tempo senza ideali né utopia, dove l’unica salvezza è una onorevole follia, quella grandissima fetta di bestie odierà, come odia, addirittura per frustrazione e non per scelta. Il primo che salta chiaro in mente, tra questi con espressione equivoca e sempre più stravolta, è Donald Trump. Presidente sveglio nel cogliere al volo l’occasione di fare propaganda elettorale, allo sbando tra follie xenofobe (lo stop all’immigrazione, anche quella legale) e scientist style (raggi ultravioletti e iniezioni di disinfettante), mentre i numeri dei contagiati e dei morti crescevano di giorno in giorno come in un film dell’apocalisse fino ad arrivare, oggi, a un milione e mezzo di persone ammalate e quasi novantamila decedute.

Nella sua America in ginocchio, ma quella anche del muro al confine col Messico, dove i bambini vengono ingabbiati, quella della corsa alle armi, degli homeless gettati come sacchi nei parcheggi nella ricchissima Las Vegas, c’è chi ancora pensa quanto sia giusto uccidere i neri. Come è accaduto in Georgia ad Ahmaud Arbery, il giovanissimo runner colpevole di aver dimenticato, correndo, di non dover passare nei pressi della casa dei signori Gregory Travis, ex poliziotto, e di suo figlio McMichael, suprematisti bianchi. Colpevole, Ahmaud, di essere nero. Come è morto Ahmaud? Inseguito, picchiato, preso a fucilate. E perché l’arresto dei due assassini è avvenuto soltanto due mesi più tardi? Perché un procuratore uguale a loro aveva avallato la tesi dei carnefici, secondo cui Ahmaud avesse compiuto poco prima un furto in un appartamento della zona e che padre e figlio avessero agito comunque per autodifesa, minacciati dal ragazzino in fuga. Un falso, poi smascherato da un video che ha indignato il mondo e fatto scendere in campo gente come LeBron James, stella dell’Nba. A rileggere il tweet dell’ala dei Los Angeles Lakers fa male ancora, come una schiacciata col pallone sul cuore invece che a canestro: “We are literally hunted everyday, everytime we step foot outside of our homes”, siamo letteralmente delle prede ogni giorno, e ogni volta che mettiamo piede fuori di casa. Senza commettere alcun crimine, come molti avvocati devono tutte le volte sottolineare e pure con prudenza, incredibilmente, contrastando la prassi che viene definita del victim blamimg, che colpevolizza la vittima, quella in parole povere del “se l’è andata a cercare”.

Il dramma di Ahmoud è un dramma anche nostro, e deve riguardare tutti. Perché non si pensi che sia mica proprio necessario fare un viaggio negli States, dove la pandemia ha amplificato le disparità razziali ed economiche ed esasperato la voglia di rimettere le cose a posto ma in una deriva trump-autoritaria, per respirare questo tanfo razzista. Sappiamo bene che l’Europa ne è piena. E quanto le politiche di certa destra alimentino il vento delle paure infondate, e giochino facile nell’inventare emergenze inesistenti.

Abbiamo dimenticato che soltanto un paio di anni fa per esempio a Macerata il signor Luca Traini giocò a fare il vendicatore della patria sparando contro gruppi di ragazzi di colore, mentre qualche tempo prima il leghista Roberto Calderoli affermava beato che incrociando la ministra Cecilie Kyenge non riusciva a non pensare a un orango? Punte d’iceberg di un pensiero che striscia in abbondanza sottotraccia, ma anche in abbondanza sopra. Quello degli slogan sul prima gli italiani, o sui muscoli degli immigrati, senza sapere che il più delle volte la palestra per quei ragazzi è stata una foresta dove da bambini per sopravvivere portavano tronchi d’albero scendendo dalle pendici di un monte fino in fattoria, e che la posta in palio era una misera paga per potere andare a scuola senza essere da peso ai genitori. Questo veleno sta aspettando, là fuori.

Tanti piccoli Trump crescono, odiano, avvelenano i social, intossicano le nostre vite, le strade delle città riaperte allo schiamazzo e che il Gaber di questo caldo pomeriggio propone di non frequentare più per l’avvenire. Visto che immaginando di passare accanto a certa umanità non si sa se aspettarsi un sorriso o una coltellata dlin dlan dlin dlan. Altro che analisi su come saremo in fase 2 e 3. Qui proprio non è più tempo di fare mischiamenti. Molte grazie, Signor G.

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