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La Scirubetta

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COSENZA – La sua tradizione è millenaria ma oggi, a fronte dei cambiamenti climatici, potrebbe scomparire. Parliamo della scirubetta, tipico dolce calabrese a base di un unico e irriproducibile ingrediente: la neve. Il suo nome deriverebbe dall’arabo “shebert”, bevanda fresca, e, così come servita, insieme al miele di fichi o al mosto o al limone e via discorrendo, potrebbe anche rappresentare l’antenato diretto del gelato.

Per i più romantici la scirubetta rappresenta, invece, un’autentica madeleine: basta un cucchiaino e a venire assaporati sono proprio i ricordi del passato, quell’infanzia in cui nevicava sulle nostre mani e le nonne, davanti alle quattro capriole del focolare, preparavano questa delizia fatta di candidi fiocchi (q.b.) e – per gli ortodossi della cucina povera – del già citato miele (q.b.).

Attualmente però, lo si accennava, nevica sempre di meno e la domanda è una e una sola soltanto: che fine farà la scirubetta? E le tradizioni? Siccità e fenomeni naturali estremi sono le spie di un vero e proprio mondo perduto? A questo proposito abbiamo chiesto agli addetti ai lavori come prepararsi al peggio, a questa apocalisse dei sapori. Abbiamo cioè chiesto se la scirubetta – assai simile ai sorbetti, alle granite e ai gelati – possa, in qualche modo e mali estremi, venire riprodotta in laboratorio. «Assolutamente no, anche perché la scirubetta sembra simile a sorbetti,  granite e gelati ma non lo è. Rispetto alle granite, più in particolare, dove i cristalli di ghiaccio presenti sono maggiormente grossolani, la scirubetta ha un manto setoso, ha un gusto soave ed è calda al palato».

Parola del miglior gelatiere al mondo – secondo la graduatoria promossa da Gelato Festival World Masters, Carpigiani e Sigep Italian Exhibition Group – Eugenio Morrone, calabrese di Zagarise, nel Catanzarese, e titolare di “Fiordiluna” nel cuore del centro storico di Roma. «Neve ce n’è poca nel nostro inverno, dobbiamo stare attenti a non scordarci, così facendo, delle nostre tradizioni – dice il mastro calabrese – e di quando eravamo bambini: la scirubetta non può essere realizzata a livello professionale, perché se le togliamo quel sapore “casalingo” non avrà più lo stesso gusto».

Dunque, con la prima neve “fresca” – di questi tempi, per l’appunto, vero e  proprio miraggio – come servirla al meglio? «Io la consiglio col mandarino, che poi era come la mangiavo da piccolo, grazie a mia nonna». E gli altri consigli? «Raccoglierla – dice sempre Morrone – in luoghi incontaminati,  quindi in Sila, in Aspromonte: mai l’ultimo strato, ma quello superficiale e in definitiva – termina – mettere amore nella preparazione: questo, tra l’altro, è anche il mio “segreto” quando faccio il gelato, coniugare tradizione e  innovazione senza strafare. È il gusto delle cose semplici quello che conta».

Scirubetta, quindi, come quarto potere della memoria. Lo testimonia anche Angelo Musolino, tra gli ideatori del “Scirubetta Festival” di Reggio Calabria che, probabilmente, dopo il fermo causato dal Covid, a settembre prossimo  ritornerà sul chilometro più bello d’Italia insieme ai maestri gelatieri e a  moltissime altre novità. «Il Festival – spiega Musolino – lo abbiamo chiamato  così proprio per sottolineare l’importanza delle tradizioni. Nel caso della scirubetta tuttavia – chiosa -, a causa del clima “pazzo”, si potrebbe ipotizzare una sua scomparsa: un peccato». Anche a Musolino, così come a Morrone,  abbiamo comunque chiesto come servire la miglior scirubetta possibile. «Sicuramente – risponde Musolino – non raccogliendola sotto i settecento metri, già a millecinquecento va bene. E poi – conclude – seguire la  stagionalità dei prodotti: miscelare, in altre parole, la neve con l’agrume di  riferimento del territorio e del periodo». Una ricetta da leccarsi i baffi, insomma. Non rimane così che attendere (altri) primi fiocchi per ritornare, chissà se per l’ultima volta ancora, un po’ bambini.

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