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COSENZA – C’è una guerra civile in corso nel Paese di cui narra Ascanio Celestini. Ma, soprattutto, in quel Paese lì piove sempre. Ed è della pioggia che i suoi abitanti parlano, piuttosto che del conflitto. «Perché non c’è nessuna guerra in cui restano uccisi tutti, ma la pioggia, quella sì, bagna ogni cosa». È un monologo (o, se vogliamo, una raccolta di monologhi) feroce e divertente quello che il pubblico del Teatro Auditorium dell’Unical ha applaudito, e a lungo, ieri e lunedì. «Non è l’Italia questo Paese immaginario. Del resto non c’è la guerra e qui non piove sempre» avverte Celestini nel prologo del suo “Discorsi alla Nazione – studio per uno spettacolo presidenziale”.
Ed è qui il punto in cui forse lo spettatore fa fatica a credergli, perché quello che seguirà sarà l’analisi precisa e cruda della crisi della sinistra italiana, che si riscopre capitalista, liberista e nazionalista, mentre era nata comunista, libertaria e internazionalista. La sinistra che ha perso le parole e alla fine ha preso le parole della destra. In una parabola che non è solo italiana, ma che oggi in Italia è parecchio attuale, benché lo spettacolo sia in scena dal 2013. Tra ambiguità e paradossi, scivola una curiosa serie di personaggi.
Tutti aspettano la fine della guerra, quasi invocano il tiranno finale, l’uomo forte che annuncia la conclusione del conflitto nel discorso finale. Incarna i padroni della storia, dal latifondo all’economia globale e neoliberista. I padroni che la sinistra è stata brava a catalogare e contestare, ma che non ha mai abbattuto davvero perché ha impiegato «due secoli ad elaborare categorie e concetti e venti minuti a dimenticarli». Il tiranno arringa gli spettatori, che si sovrappongono ai sudditi del nuovo dittatore. E i cittadini a lui si affidano con applausi scroscianti. Sanno che tanti pesci piccoli non possono mangiare il pesce grande. E preferiscono diventarne il parassita, mangiare gli avanzi del suo pasto e in cambio spidocchiargli la pinna.
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