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NEL corso del Concistoro ordinario pubblico (LEGGI), papa Francesco ha deciso di iscrivere nell’Albo dei Santi il beato Nicola da Longobardi, oblato professo dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, al secolo Giovanni Battista Clemente Saggio (1650-1709). Insieme col beato calabrese, che prosegue così il nuovo filone di santità inaugurato dal fondatore (1519) e recentemente incrementato da sant’Umile da Bisignano (2002) e da san Gaetano Catanoso (2005), saranno canonizzati monsignor Giovanni Antonio Farina (1803-1888), vescovo di Vicenza e fondatore delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori; padre Ciriaco Elias Chavara (1805-1871) fondatore della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata; padre Ludovico da Casoria (1814-1885), frate minore e fondatore della Congregazione delle Suore Francescane Elisabettine, dette “Bigie”; suor Eufrasia Eluvathingal (1877-1952) della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo; e il terziario francescano Amato Ronconi, vissuto nel secolo XIII e fondatore dell’Ospedale dei Poveri Pellegrini in Saludecio (RN), ora “Casa di Riposo Opera Pia Beato Amato Ronconi”.
La cerimonia avrà luogo in piazza san Pietro il prossimo 23 novembre, con inizio alle 10,30, domenica in cui ricorre la festa di Cristo Re dell’Universo. Anche se il comunicato ufficiale non vi fa riferimento, non è improbabile che la scelta di tale data sia da collegare all’apertura dell’Anno della Vita Consacrata, per il quale, significativamente, papa Francesco propone sei consacrati, quattro italiani e due indiani, alcuni dei quali sono stati fondatori di nuove famiglie religiose.
In attesa che siano offerti maggiori elementi sugli obiettivi che papa Francesco intende perseguire con questa nuova canonizzazione, resta, tuttavia, da comprendere come mai un frate vissuto nella seconda metà del Seicento, che non ha fondato nessun istituto religioso e che, come S. Francesco, neppure era sacerdote, venga ora proposto come modello a tutta la Chiesa universale.
Alla base di tale scelta c’è la circostanza che il “miracolato” è ancora vivente. Si tratta, infatti, del signor Giuseppe Laudadio, anch’egli originario di Longobardi dove è nato 93 anni fa, che, grazie all’intercessione del compaesano, nel 1938 si è salvato mentre stava lavorando al restauro dell’ex chiesa conventuale che i Minimi avevano a Longobardi. Il responso ha potuto acclarare scientificamente «l’assenza di qualsivoglia significativa lesività sia somatica sia psichica del Sig. Giuseppe Laudadio, in conseguenza della precipitazione da grande altezza».
Il miracolo, classificabile come un caso di scampato pericolo, si è verificato nel 1938, mentre l’inchiesta diocesana si è aperta a Cosenza il 24 maggio 2008. Come mai sono trascorsi 70 anni da quell’evento correndo seriamente il rischio che se ne perdesse la memoria? La ragione sta nel fatto che all’epoca la normativa canonica richiedeva tassativamente due miracoli per avviare una causa di canonizzazione e, di conseguenza, quello del Laudadio non era sufficiente. Essendo divenuta meno cogente la normativa e, soprattutto, essendo ancora vivente il miracolato, si è recuperato il tempo perduto e attraverso una serie di perizie tecniche, che si sono potute giovare di strumentazioni d’avanguardia, si è pervenuti alla conclusione che non c’è una spiegazione scientifica per quel che è accaduto a Giuseppe Laudadio.
Il fatto si è verificato tra maggio-giugno del 1938, per la precisione tra le 15.30 e le 16, durante i lavori di consolidamento alla chiesa dell’Annunziata, oggi detta di San Francesco. Laudadio era in cima all’impalcatura che era stata realizzata all’esterno sul lato sinistro della chiesa, ad un’altezza di circa 12 metri da terra, su di un ponteggio peraltro privo di protezione. Su disposizione del capomastro Francesco Presta, Laudadio si accingeva a scendere al fine di preparare l’ultimo impasto di cemento. Nel compiere tale azione si aggrappò con la mano sinistra ad una mascella che, cedendo, gli fece perdere l’equilibrio e lo fece cadere nel vuoto. Conscio che stava seriamente correndo il rischio di morire, mentre stava precipitando invocò all’istante l’aiuto del Beato Nicola. Malgrado fosse andato a finire su cumulo di pietre taglienti, sabbia e cemento, non solo non perse conoscenza, ma si rialzò immediatamente e notò che, nonostante l’altezza da cui era caduto, non aveva riportato alcuna ferita, non avvertiva alcun dolore, né aveva problemi nei movimenti. Aveva solo una piccola abrasione sul ginocchio destro, dovuta al fatto che cadendo, con ogni probabilità, aveva sfiorato qualche travicello che gli aveva procurato uno strappo ai pantaloni.
Il capomastro, rimasto impressionato nel rivederlo dopo quel volo, in via precauzionale lo rimandò a casa poco distante dal cantiere. Il miracolato non solo non ricorse alle cure dei sanitari, né nei giorni successivi si sottopose ad alcun controllo clinico, ma, come se nulla fosse accaduto, l’indomani si ripresentò regolarmente al lavoro. In considerazione dei progressi avvenuti in campo radiologico, durante l’inchiesta diocesana il Laudadio è stato sottoposto a diverse indagini radiografiche a carico di calcagni, rachide, bacino ed arti, che hanno escluso, nella maniera più assoluta, la presenza di lesioni fratturative pregresse o recenti, sicché resta scientificamente inspiegabile come un uomo, precipitando su un massetto da oltre 10 metri di altezza, non abbia riportato alcun trauma.
* frate minimo
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