COSENZA – Sono genitori e gay, identità che così composta è negata dalla legge italiana e dalla Chiesa. Sono diventati padri e madri in una relazione eterosessuale sposandosi non pienamente consapevoli della loro identità affettiva e sessuale finché la scoperta o l’accettazione di sé, come omosessuali o transessuali, coronata dal coming out, li ha posti davanti a un nuovo rapporto con la famiglia, dove ci sono figli ed ex coniugi. Per condividere esperienze e costruire visibilità a una porzione sociale numericamente significativa (nel 2008 i figli di genitori gay e lesbiche in Italia erano già 100.000) tre anni fa, da una costola delle Famiglia Arcobaleno è nata la Rete Genitori Rainbow, ospite ieri dell’Arcigay cosentino Eos con il cofondatore e presidente Fabrizio Paoletti.
Fiorentino e padre di una ragazza di sedici anni, ha raccontato la sua storia a un gruppo di ascoltatori da cui le domande sono state tante e partecipate, anche se nessuno dei presenti di ieri si trovava a vivere la genitorialità omosessuale. Però, dicono i soci dell’Arcigay bruzio, in Calabria i lgbt con figli sono tanti e sentono il bisogno di un riferimento comunitario. Vissuti ancora costretti nell’anonimato, difficili da liberare senza un supporto che spesso dev’essere di tipo legale: è stato citato il caso di una donna che dopo la separazione è vittima di stalking da parte del suo ex. Per questo, come ha annunciato Paoletti, c’è l’idea di creare a Cosenza un gruppo di auto-mutuo aiuto (sarebbe il primo a sud di Roma), una delle attività a cui in Genitori Rainbow si tiene di più, pensata per condividere storie di vita senza esprimere giudizi. Calabria, insomma, pioniera: qui non è molto piaciuta l’interpretazione di Gianni Amelio, che dichiandosi gay ha definito i calabresi omofobi… Le scelte sono diverse (dichiararsi ai figli, come nell’inevitabile caso dei trans, o tenergli nascosta la propria omosessualità) ma ad accomunare tutti e tutte c’è l’autodeterminazione verso la genitorialità.
I loro figli sono stati voluti, e sono amatissimi, ha spiegato Fabrizio Paoletti, che a Cosenza descrive immagini bellissime, come quella del primo impatto con i genitori Rainbow: «C’era una maggioranza di coppie lesbiche e io di loro sapevo solo quello che si diceva. Se era vera la fama di rigide e “cattive”, i loro figli dovevano essere sotto un regime tedesco. Invece mi sono ritrovato in un giardino pieno di bambini che giocavano allegramente chiamando i loro babbi e le loro mamme». I genitori gay italiani sono una realtà sempre meno “segreta”, tanto che nel 2011 è venuto alla luce per la prima volta nelle separazioni giudiziali un 11% dove la causa è l’omosessualità. Ma quando il matrimonio si rompe sono proprio i figli a capire, soprattutto in età infantile. «Un figlio – ribadisce Paoletti – non fa fatica ad accettare l’identità nella quale il genitore è felice, se nascono problemi è perché ad essere omofobico verso se stesso è il genitore».
Se si è stati sposati, si hanno avuto figli e poi è arrivato il coming out, si è bisessuali? Come si riesce a far tacere l’attrazione verso il proprio sesso con un compagno etero? Queste alcune delle domande affiorate, a cui Paoletti ha risposto parlando della sua storia. Con un elemento chiaro che è sembrato emergere: l’affettività segue direzioni non incasellabili nel sesso, e la spinta esercitata dall’aspirazione alla famiglia è potente e capace di creare legami solidi. Ma Fabrizio. pur avendo amato una donna (ed essendogli stato fedele in coerenza con il progetto familiare) si è conosciuto nell’omosessualità: «E’ stato soltanto con un uomo che, guardandomi allo specchio, io che nell’intimità non mi ero mai piaciuto, mi sono trovato bello». Per Paoletti il commiato è un arrivederci (tornerà a Cosenza per guidare la nascita del gruppo di auto-aiuto), non prima di alcuni scatti con l’hashtag #nohomofobia per il flashmob organizzato dall’Eos per il 17 maggio, giornata internazionale contro omofobia e transfobia.