X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

COSENZA –  “ECCO a buon conto […] un paese che val più della Wesfalia” diceva il Candido di Voltaire appena approdato alle porte, sature d’oro, del “paese d’Eldorado”: un luogo felice di uguaglianza realizzata, in cui la ricchezza non esiste e le persone, tanto per chiudere il cerchio, oltre che umili sono pure bellissime. Che ogni ormeggio letterario ricordi oggi la grande emigrazione italiana di fine ottocento non è un caso, perché anche le aspettative dei nostri erano velate di leggenda. Vittorio Cappelli l’ha raccontata più volte, questa America dei coloni italiani, e durante la presentazione del suo ultimo libro – “La belle époque italiana di Rio de Janeiro. Volti e storie dell’emigrazione meridionale nella modernità carioca”, Rubbettino – nella libreria Feltrinelli di Cosenza, ha spiegato al suo pubblico che “l’esperienza migratoria non ha mai un punto di partenza e un punto d’arrivo, ma sempre una storia precedente alla partenza ed una successiva all’arrivo. E poi le tante cose che succedono tra una fase e l’altra”. 

Quasi un romanzo, quello di Cappelli, costellato di storie archetipiche della conquista migratoria, in cui non si racconta la classica epopea del Partimmo, arrivammo, ci moltiplicammo, ma la vera e propria costruzione di quella che fu una splendida pagina di storia e di cultura del Brasile, interamente dovuta agli italiani. Marta Petrusewicz, professoressa di Storia dell’Università della Calabria, e Matteo Cosenza, Direttore de Il Quotidiano della Calabria, hanno raccolto alcuni dei personaggi e degli aspetti più significativi di questa storia – i fratelli Jannuzzi di Fuscaldo, i cilentani Segreto – per provare a trasmettere la profondità dell’impronta lasciata dal meridione d’Italia nella vita carioca. “E’ un libro straordinario e positivo, che racconta storie riuscite”, ha detto la Petrusewicz. “Quasi una fiaba, che ha per protagonisti questi quasi indesiderati, per lo più, questi mezzi mazziniani indigeni delle Due Sicilie alla ricerca del Paese mitico dove tutto è possibile.” La Petrusewicz ha snocciolato le vicende legate alla “ditta” Antonio Jannuzzi e Fratelli, self made men ante litteram, oggi conosciuti come gli architetti costruttori dello skyline 1.0 di Rio de Janeiro, in partenza cinque figli di uno scalpellino di Fuscaldo. 
“Con l’opera dei fratelli Jannuzzi si realizza non solo un certo spirito capitalista, ma anche una grande contraddizione”, ha detto Matteo Cosenza, “ovvero una città brasiliana, Rio de Janeiro, ricostruita come Parigi, a gusto dell’Imperatore, ma da immigrati italiani”. Sorprendente pensare che il loro capitalismo, poi realizzato in Brasile, sia in qualche modo nato a Fuscaldo. “Viene da chiedersi cosa avrebbero fatto qui, se fossero rimasti”, ha continuato Cosenza, “Se ci fosse stato il famoso contesto. E questo suggerisce che la storia raccontata da Cappelli è sì positiva per il Brasile, in termini di risultato, ma amara per la Calabria e le sue risorse, anche oggi, inutilizzate”. 
Per Cappelli il suo racconto è utile a scardinare gli stereotipi ed a riscattare una parte di storia dimenticata dalla storiografia ufficiale brasiliana. “Questo significa restituire a Rio uno degli aspetti fondanti della sua storia, e a noi la soddisfazione di sapere la progettualità politico-culturale delle Due Sicilie realizzata non qui, ma in terra carioca”. Rossella Gaudio ha letto degli estratti del libro, Francesca D’Amante e Leonardo Spinedi hanno chiuso in musica.
Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE