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LA SINTESI del professor Pasquale Versace è probabilmente la più efficace. «Se sbagliamo la scelta del rettore – chiosa quasi al termine del suo intervento – siamo fottuti». La validità della sua ipotesi l’aveva costruita prima, ricordando e riassumendo i guasti di «un riformismo criminale che ha già stabilito quali siano gli atenei di serie A e di serie B». La descrizione del suo rettore ideale, va detto, strappa pure applausi, soprattutto nel passaggio in cui dice che lui sceglierà «un candidato lontano dalla politica e dalla massoneria».
Ora, quanto il quadro sia difficile lo sanno tutti i candidati a rettore e tutta l’assemblea del corpo accademico ieri riunita per il primo dei due appuntamenti pubblici previsti in questa campagna elettorale: i tagli, le aspettative dei ricercatori e dei precari – tanti – che stanno dietro i ricercatori, il campus da rivitalizzare, lo statuto da rivedere ad appena un anno circa dalla sua approvazione. E sarà perché la scelta è appunto delicata, dopo quattordici anni di governo Latorre e lo scenario di crisi, oppure perché di corpi accademici non è che se ne siano riuniti molti negli ultimi anni, ma ad ogni modo ieri nell’aula magna dell’Università della Calabria la partecipazione era altissima. A due giorni dalla scadenza per la presentazione delle candidature, in campo restano sempre in cinque: Mimmo Cersosimo, Gino Crisci, Girolamo Giordano, Marcello Maggiolini e Patrizia Piro. 
Toni morbidi per tutte le cinque ore di dibattito e i sedici interventi (oltre alle presentazioni dei cinque candidati), che vedranno gli aspiranti rettore prendere diligentemente appunti. Quando arriva il calo di zuccheri, intervengono gli snack di Raffaele Perrelli, direttore di Studi Umanistici, da cui si fa “tentare” anche Maggiolini. 
Se proprio si deve colpire per ora lo si fa di fioretto. «Gino, Gino, non è vero che dormiamo come hai detto. Dai, serve più fiducia: abbiamo delle eccellenze, non possiamo deprimerle», dice Mimmo Cersosimo, nel primo accenno di polemica “ad personam” del dibattito. L’affondo Crisci – gli appunti infilati nel “Manualetto di campagna elettorale” di Quinto Tullio Cicerone, fresco regalo della mattinata – lo restituirà poi nella replica: «Cersosimo dice che in 90 giorni modificherà lo statuto. In un tempo così ristretto lo può fare solo chi ha un nuovo testo già pronto nel cassetto. Noi abbiamo bisogno invece di discutere». Altre battute sono più sfumate e pur ispirate dagli interventi di alcuni candidati diventano più la critica di un certo sistema. «Ma ci spiegate che significano stress test, mission, facility? – chiede Fortunato Cacciatore, associato di Storia della storiografia filosofica, citando dalle presentazioni di Cersosimo e Maggiolini – Non sarebbe meglio preferire talvolta l’inglese di Shakespeare a quello di Tom Cruise?». Sul terreno dell’ironia, però, vince Perrelli. Apprezzatissima dall’assemblea, che si concederà una lunga risata, la descrizione di una certa ritualità che prevale nell’evento giacché molti accordi sono stati già stretti fuori:: «In fondo siamo qui per tenere un discorso d’occasione al funerale – parlo in senso metaforico, ovviamente – di un vecchio zio, morto in tarda età, dopo aver superato il secolo di vita ed essersi goduto la vita. Lo facciamo a metà tra il senso di liberazione e la malinconia».
I due principali temii di scontro – sempre però solo accennato – nella prima giornata restano due: uno è proprio lo statuto, contestato da tutti (per cui lo scontro è tra chi lo ha contestato dall’inizio e chi lo ha votato), l’altro è lo strappo tra (vecchie) facoltà e (vecchi) dipartimenti, tirato fuori per primo da Roberto Bartolino, ordinario di Fisica. 
Per i candidati condensare in dieci minuti le proprie linee programmatiche si rivela arduo. Marcello Maggiolini si organizza con le slide, per riassumere un programma costruito sulla «centralità degli studenti», le opportunità di Horizon 2020 e l’autonomia dei dipartimenti e che culmina con l’impegno alla rinuncia all’indennità di rettore (circa 60 mila euro annui), da destinare alle attività dei ricercatori. Girolamo Giordano, che è alla sua prima uscita pubblica, promette un palazzo, quello dell’amministrazione, «di vetro», che significa «trasparenza completa: basta con le chiamate, di docenti o personale tecnico – amministrativo, di fine dicembre». Patrizia Piro si presenta come la “terza via”, a metà tra i blocchi «di potere» consolidati, spinge per una «università terza» rispetto alla politica e invoca l’alternanza. Gino Crisci parla di una università «addormentata», perché ha accettato di essere un ateneo normale mentre il campus di Arcavacata «è nato perché fosse d’esempio, in una regione difficile. Dobbiamo recuperare quella missione». Mimmo Cersosimo invoca discontinuità, nel passaggio dalla fase di «crescita estensiva» alla fase qualitativa. «Non bastano piccoli rattoppi, bisogna cambiar sarto – dice – e cambiare sartoria».
In prima fila il rettore Giovanni Latorre, che per una volta può fare lo spettatore. I riferimenti alla sua gestione ci sono, ma la vis polemica è attenuata. Anzi da Paolo Veltri incassa anche un ringraziamento per tutti questi anni di lavoro. «Forse troppi», aggiunge sempre Veltri. Ma per una volta può sorridere anche Latorre.

LA SINTESI del professor Pasquale Versace è probabilmente la più efficace. «Se sbagliamo la scelta del rettore – chiosa quasi al termine del suo intervento – siamo fottuti». La validità della sua ipotesi l’aveva costruita prima, ricordando e riassumendo i guasti di «un riformismo criminale che ha già stabilito quali siano gli atenei di serie A e di serie B». La descrizione del suo rettore ideale, va detto, strappa pure applausi, soprattutto nel passaggio in cui dice che lui sceglierà «un candidato lontano dalla politica e dalla massoneria». 

Ora, quanto il quadro sia difficile lo sanno tutti i candidati a rettore e tutta l’assemblea del corpo accademico ieri riunita per il primo dei due appuntamenti pubblici previsti in questa campagna elettorale: i tagli, le aspettative dei ricercatori e dei precari – tanti – che stanno dietro i ricercatori, il campus da rivitalizzare, lo statuto da rivedere ad appena un anno circa dalla sua approvazione. E sarà perché la scelta è appunto delicata, dopo quattordici anni di governo Latorre e lo scenario di crisi, oppure perché di corpi accademici non è che se ne siano riuniti molti negli ultimi anni, ma ad ogni modo ieri nell’aula magna dell’Università della Calabria la partecipazione era altissima. 

A due giorni dalla scadenza per la presentazione delle candidature, in campo restano sempre in cinque: Mimmo Cersosimo, Gino Crisci, Girolamo Giordano, Marcello Maggiolini e Patrizia Piro. Toni morbidi per tutte le cinque ore di dibattito e i sedici interventi (oltre alle presentazioni dei cinque candidati), che vedranno gli aspiranti rettore prendere diligentemente appunti. Quando arriva il calo di zuccheri, intervengono gli snack di Raffaele Perrelli, direttore di Studi Umanistici, da cui si fa “tentare” anche Maggiolini. Se proprio si deve colpire per ora lo si fa di fioretto. «Gino, Gino, non è vero che dormiamo come hai detto. Dai, serve più fiducia: abbiamo delle eccellenze, non possiamo deprimerle», dice Mimmo Cersosimo, nel primo accenno di polemica “ad personam” del dibattito. 

L’affondo Crisci – gli appunti infilati nel “Manualetto di campagna elettorale” di Quinto Tullio Cicerone, fresco regalo della mattinata – lo restituirà poi nella replica: «Cersosimo dice che in 90 giorni modificherà lo statuto. In un tempo così ristretto lo può fare solo chi ha un nuovo testo già pronto nel cassetto. Noi abbiamo bisogno invece di discutere». Altre battute sono più sfumate e pur ispirate dagli interventi di alcuni candidati diventano più la critica di un certo sistema. «Ma ci spiegate che significano stress test, mission, facility? – chiede Fortunato Cacciatore, associato di Storia della storiografia filosofica, citando dalle presentazioni di Cersosimo e Maggiolini – Non sarebbe meglio preferire talvolta l’inglese di Shakespeare a quello di Tom Cruise?». 

Sul terreno dell’ironia, però, vince Perrelli. Apprezzatissima dall’assemblea, che si concederà una lunga risata, la descrizione di una certa ritualità che prevale nell’evento giacché molti accordi sono stati già stretti fuori: «In fondo siamo qui per tenere un discorso d’occasione al funerale – parlo in senso metaforico, ovviamente – di un vecchio zio, morto in tarda età, dopo aver superato il secolo di vita ed essersi goduto l’esistenza. Lo facciamo a metà tra il senso di liberazione e la malinconia». I due principali temi di scontro – sempre però solo accennato – nella prima giornata restano due: uno è proprio lo statuto, contestato da tutti (per cui lo scontro è tra chi lo ha contestato dall’inizio e chi lo ha votato), l’altro è lo strappo tra (vecchie) facoltà e (vecchi) dipartimenti, tirato fuori per primo da Roberto Bartolino, ordinario di Fisica. 

Per i candidati condensare in dieci minuti le proprie linee programmatiche si rivela arduo. Marcello Maggiolini si organizza con le slide, per riassumere un programma costruito sulla «centralità degli studenti», le opportunità di Horizon 2020 e l’autonomia dei dipartimenti e che culmina con l’impegno alla rinuncia all’indennità di rettore (circa 60 mila euro annui), da destinare alle attività dei ricercatori. Girolamo Giordano, che è alla sua prima uscita pubblica, promette un palazzo, quello dell’amministrazione, «di vetro», che significa «trasparenza completa: basta con le chiamate, di docenti o personale tecnico – amministrativo, di fine dicembre». Patrizia Piro si presenta come la “terza via”, a metà tra i blocchi «di potere» consolidati, spinge per una «università terza» rispetto alla politica e invoca l’alternanza. Gino Crisci parla di una università «addormentata», perché ha accettato di essere un ateneo normale mentre il campus di Arcavacata «è nato perché fosse d’esempio, in una regione difficile. Dobbiamo recuperare quella missione». Mimmo Cersosimo invoca discontinuità, nel passaggio dalla fase di «crescita estensiva» alla fase qualitativa. «Non bastano piccoli rattoppi, bisogna cambiar sarto – dice – e cambiare sartoria». 

In prima fila il rettore Giovanni Latorre, che per una volta può fare lo spettatore. I riferimenti alla sua gestione ci sono, ma la vis polemica è attenuata. Anzi da Paolo Veltri incassa anche un ringraziamento per tutti questi anni di lavoro. «Forse troppi», aggiunge sempre Veltri. Ma per una volta può sorridere anche Latorre.

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