COSENZA – È un cinema della “contaminazione” quello di Marco Bellocchio. Declinata su più livelli. C’è quello che si potrebbe definire personale e che lo stesso regista di Buongiorno, notte, Vincere, Bella addormentata ha raccontato ieri agli studenti dell’Università della Calabria, ospite del dipartimento di Studi umanistici. «Se sul rapimento Moro avessi dovuto fare un film alla Francesco Rosi non ne sarei stato capace. Non accetto l’ineluttabilità della storia, non accetto una certa disumana follia. Alcuni elementi, anche se infedeli alla storia (ad esempio l’ipotetica uscita di Moro dalla sua prigione al termine del film, ndr), mi erano necessari. La stessa contaminazione si ritrova – ha raccontato Bellocchio – in Bella addormentata. Sono sensibile al cinema di denuncia, ma devo contaminarlo con qualcosa di mio. Il caso Englaro resta sulla sfondo, dietro le storie che riguardano i vari personaggi».
Un altro livello è quello pratico, quello in cui la scrittura del film si incrocia con il momento della ripresa. «La sceneggiatura è l’architettura del film ed è importante che sia solida – ha detto Bellocchio – ma devi avere sempre la possibilità di tradirla, nel girato e nel montaggio. Quando giri ti rendi conto che la scrittura non è sufficiente e lì da un’apparente casualità, da un’invenzione hai la possibilità di arricchire l’immagine». Poi c’è il livello della lettura e della costruzione teorica dei suoi film. Quello che intuisce nel cinema di Bellocchio richiami più ampi non solo alla letteratura, alla filosofia, alla psicoanalisi, in alcuni casi anche al di là della stessa consapevolezza del regista. «Marco Bellocchio – ha spiegato in apertura il direttore del dipartimento di Studi umanistici Raffaele Perrelli – è una figura che meglio di altre rappresenta le ragioni fondative del nostro dipartimento, per l’intersezione tra discipline diverse e per l’impegno civile». Nel corso dell’incontro – che si articola come una ricca intervista a più voci, dove docenti, dottorandi e studenti “interrogano” Bellocchio – si coglie ad esempio una certa «dimensione virgiliana» del suo cinema che emerge nel conflitto tra la storia e la sofferenza personale (Raffaele Perrelli), si riscopre il rapporto tra Bellocchio e la psicoanalisi (Felice Cimatti), si instaura un ponte tra i suoi film e la filosofia di Michel Foucault.
«Nel suo cinema è in gioco il destino della soggettività moderna nel rapporto con le istituzioni. Le stesse analizzate da Foucault. La famiglia in I pugni in tasca, la scuola di Nel nome del padre, l’esercito in Marcia trionfale, gli ospedali e le case di cura psichiatriche di Matti da slegare», ha elencato De Gaetano, direttore della Scuola dottorale di Studi umanistici. Altri spunti sono arrivati dai docenti Bruno Roberti, Daniele Dottorini, Daniele Vianello. Bellocchio, che la prossima estate inizierà le riprese de La prigione di Bobbio («racconterà l’amore tra un prete e una monaca») e che a teatro porterà lo Zio Vanja di Cechov, ha ricordato anche la sua lontana esperienza di regista in Calabria, quando girò a Paola un documentario ai tempi della sua militanza nell’Unione dei Comunisti marxisti – leninisti, “Il popolo calabrese ha rialzato la testa”. «Sono cresciuto in una famiglia borghese, non ho mai sofferto la fame. Visitare quei quartieri, incontrare quelle famiglie che in casa avevano ancora il braciere significava per me incontrare un mondo che non conoscevo per niente» ha raccontato. Le domande dei ragazzi (in alcuni casi già laureati) si sono concentrate sul mestiere di regista («è un mestiere complesso e ingrato, prima di incoraggiare un giovane aspetterei che me lo chieda almeno una decina di volte»), sulla sua avversione per il controcampo («l’inquadratura lunga è la sfida per il regista»), sul ruolo dei media quarant’anni dopo Sbatti il mostro in prima pagina. «Non sono un sostenitore del Movimento 5 stelle. Ho votato Pd (sta per aggiungere “sbagliando”, la platea sorride, lui precisa “no, lo voterò di nuovo”, ndr), ma vedo da parte di stampa e televisioni un tentativo di squalificare i grillini, concentrandosi su minuzie davanti alle cose mastodontiche che succedono in Italia. Per carità tutto è legittimo, ma è pur sempre un movimento – ha concluso – che ha preso il 25 per cento». In serata, al teatro auditorium dlel’Unical, Bellocchio ha portato in scena il suo Oreste da Euripide.