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di ROSITA GANGI
LA minaccia è arrivata diverse volte. Sussurrata, gridata, tenuta sottotraccia o manifestata. Il teatro dell’Acquario, piccolo scrigno di saperi e cultura di Cosenza, è andato più volte vicino alla chiusura. L’anima storica del teatro, Antonello Antonante, lo aveva predetto anche una ventina d’anni fa: «E se al tirar delle somme, decideremo di chiudere, perché stanchi della “beata solitudine” in cui ci ritroviamo ogni volta costretti ad operare, questo avverrà senza clamori. Come accade sulla nostra scena quando muore Aiace: il suo cielo si rompe e si frantuma in silenzio». Quest’anno, invece, l’appello si è fatto pubblico. Grazie ai social, il silenzio è squarciato e la petizione on line per sostenere la vita del teatro dell’Acquario è arrivata a quota 2000 firme certificate e a migliaia di “mi piace”. La pagina Facebook è inondata da commenti di sostegno e da ricordi di teatranti e pubblico che per anni hanno frequentato quella scatola buia eppure luminosa dove si è masticato sapere e si sono costruite emozioni. Spesso con poco. Eliminando, piuttosto che arricchendo di fronzoli. La sostanza, prima della forma, era nell’anima dei fondatori, d’altronde. Un gruppo nato negli anni Settanta dall’unione del Play Centro di Corso Telesio e dal Collettivo Teatrale di Sperimentazione di via Santa Lucia e che da allora prenderà il  nome di Centro Rat (Ricerche audiovisive e teatrali) fondato da Antonello Antonante, Dora Ricca, Riccardo Adamo, Massimo Costabile, Nello Costabile, Gianni Leo, Annick Bulkaen e Piero Scorpiniti. Un gruppo appassionato, che si accontentava di provare nel sottoscala del Rendano, e poi divenuto itinerante sotto la “Tenda di Giangurgolo”, acquistata dal Circo Marius. Un tendone che si ribella quando per la prima volta si decide di usarlo per ospitare un veglione di fine anno. Una tempesta notturna nel capodanno del 1979 lo lacera e lo distrugge. Antonante non si perde d’animo e si ricorda che in via Galluppi c’era una vecchia palestra di boxe, abbandonata. Riesce a prenderla in affitto e lì, in un “ capannone imprigionato dai palazzi e da una brutta edilizia urbana degli anni 50, rinasciamo –  racconta Dora Ricca – Il magazzino era sporco e abbandonato, si trattavo di ripulirlo e dargli una identità completamente nuova, ma non c’erano fondi adeguati e come d’abitudine si trattava di rimboccarsi le maniche”. 
Dopo mesi di lavoro il 7 marzo del 1981 si inaugura il Teatro dell’Acquario, un nome scelto a maggioranza dopo serate di discussioni, preso in prestito dai ricordi di un teatro parigino e che simboleggia il “tutto” che un acquario può contenere. Il Teatro aveva un palcoscenico di sei metri per dieci e sedie di legno, arrivate il giorno stesso dell’inaugurazione, che fu affidata a Libera Scena Ensemble con un Woyzeck bellissimo fatto da Gennaro Vitiello. Da quel giorno su quelle tavole del teatro è passata gran parte della storia del teatro contemporaneo italiano, incominciando dalle avanguardie romane degli anni Ottanta, Quartucci, Tat, Ricci, fino ad arrivare ai Raffaello Sanzio, Martone, Corsetti, Emma Dante, ma anche la danza contemporanea, il Living, l’Odin, Dario Fo e Franca Rame. Oltre alle innumerevoli produzioni del Centro Rat, alcune delle quali hanno operato una vera riscoperta culturale nel campo degli autori calabresi. Tre su tutti: Calogero, Costabile ed Alvaro. Nel 1987 fu ristrutturato e fu realizzata anche una regia, allargato il palcoscenicofino a dodici metri e sessanta per otto, realizzati i camerini. Recentemente anche un Bistrot.
A dare sostegno alla battaglia contro la chiusura si stanno muovendo in questi giorni anche voci importanti, come quella del presidente dell’Associazione nazionale dei critici di teatro Giulio Baffi che si augura che scrive: «Ogni teatro che vive è un segno importante della nostra cultura e della nostra vita sociale. Ogni spettacolo offerto agli spettatori è ponte verso la crescita della collettività tutta, come per una grande strada da percorrere insieme, per comprendere linguaggi e sentimenti comuni e farli crescere come cosa preziosa». Ma i teatranti le risposte più concrete le aspettano dalle istituzioni.

COSENZA – La minaccia è arrivata diverse volte. Sussurrata, gridata, tenuta sottotraccia o manifestata. Il teatro dell’Acquario, piccolo scrigno di saperi e cultura di Cosenza, è andato più volte vicino alla chiusura. L’anima storica del teatro, Antonello Antonante, lo aveva predetto anche una ventina d’anni fa: «E se al tirar delle somme, decideremo di chiudere, perché stanchi della “beata solitudine” in cui ci ritroviamo ogni volta costretti ad operare, questo avverrà senza clamori. Come accade sulla nostra scena quando muore Aiace: il suo cielo si rompe e si frantuma in silenzio». Quest’anno, invece, l’appello si è fatto pubblico. Grazie ai social, il silenzio è squarciato e la petizione on line per sostenere la vita del teatro dell’Acquario è arrivata a quota 2000 firme certificate e a migliaia di “mi piace”. La pagina Facebook è inondata da commenti di sostegno e da ricordi di teatranti e pubblico che per anni hanno frequentato quella scatola buia eppure luminosa dove si è masticato sapere e si sono costruite emozioni. Spesso con poco. Eliminando, piuttosto che arricchendo di fronzoli. La sostanza, prima della forma, era nell’anima dei fondatori, d’altronde. Un gruppo nato negli anni Settanta dall’unione del Play Centro di Corso Telesio e dal Collettivo Teatrale di Sperimentazione di via Santa Lucia e che da allora prenderà il  nome di Centro Rat (Ricerche audiovisive e teatrali) fondato da Antonello Antonante, Dora Ricca, Riccardo Adamo, Massimo Costabile, Nello Costabile, Gianni Leo, Annick Bulkaen e Piero Scorpiniti. Un gruppo appassionato, che si accontentava di provare nel sottoscala del Rendano, e poi divenuto itinerante sotto la “Tenda di Giangurgolo”, acquistata dal Circo Marius. Un tendone che si ribella quando per la prima volta si decide di usarlo per ospitare un veglione di fine anno. Una tempesta notturna nel capodanno del 1979 lo lacera e lo distrugge. Antonante non si perde d’animo e si ricorda che in via Galluppi c’era una vecchia palestra di boxe, abbandonata. Riesce a prenderla in affitto e lì, in un “ capannone imprigionato dai palazzi e da una brutta edilizia urbana degli anni 50, rinasciamo – racconta Dora Ricca – il magazzino era sporco e abbandonato, si trattavo di ripulirlo e dargli una identità completamente nuova, ma non c’erano fondi adeguati e come d’abitudine si trattava di rimboccarsi le maniche”. Dopo mesi di lavoro il 7 marzo del 1981 si inaugura il Teatro dell’Acquario, un nome scelto a maggioranza dopo serate di discussioni, preso in prestito dai ricordi di un teatro parigino e che simboleggia il “tutto” che un acquario può contenere. Il Teatro aveva un palcoscenico di sei metri per dieci e sedie di legno, arrivate il giorno stesso dell’inaugurazione, che fu affidata a Libera Scena Ensemble con un Woyzeck bellissimo fatto da Gennaro Vitiello. Da quel giorno su quelle tavole del teatro è passata gran parte della storia del teatro contemporaneo italiano, incominciando dalle avanguardie romane degli anni Ottanta, Quartucci, Tat, Ricci, fino ad arrivare ai Raffaello Sanzio, Martone, Corsetti, Emma Dante, ma anche la danza contemporanea, il Living, l’Odin, Dario Fo e Franca Rame. Oltre alle innumerevoli produzioni del Centro Rat, alcune delle quali hanno operato una vera riscoperta culturale nel campo degli autori calabresi. Tre su tutti: Calogero, Costabile ed Alvaro. Nel 1987 fu ristrutturato e fu realizzata anche una regia, allargato il palcoscenicofino a dodici metri e sessanta per otto, realizzati i camerini. Recentemente anche un Bistrot.A dare sostegno alla battaglia contro la chiusura si stanno muovendo in questi giorni anche voci importanti, come quella del presidente dell’Associazione nazionale dei critici di teatro Giulio Baffi che si augura che scrive: «Ogni teatro che vive è un segno importante della nostra cultura e della nostra vita sociale. Ogni spettacolo offerto agli spettatori è ponte verso la crescita della collettività tutta, come per una grande strada da percorrere insieme, per comprendere linguaggi e sentimenti comuni e farli crescere come cosa preziosa». Ma i teatranti le risposte più concrete le aspettano dalle istituzioni.

 

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